Stefano Castelluccio
Il pianista dell'AI che trasforma i byte in emozioni vere
Melodie che sembrano vortici di suono. Capaci di trasportare altrove. La voce - che pare umanissima - racconta emozioni e stati d'animo. Sembra tutto «normale» finché non si scopre che quelle canzoni sono frutto di una «band» alquanto insolita, formata da un ingegnere informatico appassionato di musica e l'intelligenza artificiale.
Stefano Castelluccio, dal suo studio immerso nei Boschi di Carrega, a Sala Baganza, ha fatto l'impossibile: ha insegnato alle macchine a provare nostalgia. Stefano 57 anni, non è il solito nerd che programma nel garage, ma un artista che ha capito che l'intelligenza artificiale non deve solo calcolare, ma sentire.
«Per anni ho accumulato idee di testo, riff e melodie che ho rimaneggiate con l'aiuto dell'AI», racconta. Il risultato? «The Monogatari Music Project», un progetto che trasforma bit e byte in lacrime vere. Canzoni generate da algoritmi che ti prendono per la gola, video creati da neural network che sembrano usciti dalla mente di Kubrick. Perché Monogatari? Un parola giapponese il cui significato deriva da «mono», cioè cosa, oggetto e «gatari» (o «katari»), ovvero racconto, parola, narrazione. Messo insieme diventa «racconto», «storia», «narrazione».
La rivoluzione di Castelluccio parte da un'intuizione: «L'AI non deve imitare l'arte, deve crearla ex novo». E così avviene il processo creativo: «Uso strumenti come Suno AI per la musica, Gemini per le immagini, Hailuo per i video», spiega mentre mostra il suo laboratorio digitale. Sullo schermo scorrono immagini «impossibili», tra futuristico e filosofico: paesaggi onirici che mutano al ritmo di melodie sintetiche, volti che non esistono ma che raccontano storie universali.
Il suo metodo, che porta avanti da circa due anni, è chirurgico: parte da frammenti emotivi – alcuni versi, un giro di accordi, un'immagine, ma anche intere melodie improvvisate al pianoforte – con cui alimenta gli algoritmi come semi in terra fertile. Ma l'ispirazione arriva spesso dal silenzio del bosco che circonda la sua casa, dalla meditazione zen che pratica da maestro di karate, 4° dan. «L'AI amplifica la creatività umana, non la sostituisce», precisa mentre ritrova quella quiete interiore che solo le arti marziali giapponesi sanno dare. Ed è vero: ascoltando i suoi brani si percepisce quella stessa pace, quel tremito nell'anima che solo l'arte vera sa provocare.
The Monogatari Music Project non è solo musica: è «un manifesto». Dimostra che la tecnologia può essere poetica, che l'innovazione può commuovere. In un'epoca dove l'intelligenza artificiale spaventa, Castelluccio ci ricorda che «il futuro non sarà necessariamente distopico. Può essere anche bellissimo».
L'ingegnere dei Boschi di Carrega ha capito che siamo all'alba di una nuova Renaissance, dove artisti e algoritmi collaborano per creare meraviglie inedite. «Prima avrei impiegato giorni per arrivare a un risultato così -afferma -: adesso, grazie alle tecnologie che avanzano è possibile andare oltre, progettare cose nuove, reinventare. Quella tra me e l'AI è proprio una collaborazione artistica».
E mentre il mondo discute ancora se l'intelligenza artificiale sia una minaccia, lui sta già scrivendo il prossimo capitolo dell'arte digitale. Con il cuore e con la saggezza antica del bushido.
E se siete curiosi di ascoltare questo atipico duetto, «The Monogatari Music Project» si può ascoltare nelle principali piattaforme: Spotify, Apple Music, Amazon Music, Youtube, SoundCloud. I brani sono prevalentemente in inglese, una lingua molto musicale - fa sapere l'ingegnere-artista - e spaziano dal rock, in tutte le sue sfumature, al rap portando anche temi sociali».
Le sue canzoni preferite tra quelle prodotte? «Last Oasis, perchè è il pezzo che è venuto proprio come volevo, sia musicalmente che a livello di immagini e parole - rivela -. Un'altra canzone importante per me è Watcher on the Eldritch coast e quella che più mi rappresenta è Cure».
Ad ascoltarle, sembra impossibile pensare ci sia dietro anche un «cuore» non umano. Parole e note si amalgamano al sound e le voci sembrano reali. Ed è proprio lì, in quel mondo sospeso, che sembra più facile credere al progresso. «La tecnologia c'è, esiste, utilizziamola per sperimentare, per innovare, in modo saggio». Utilizziamola per creare. Creare il bello.
r.c.