TENTATO OMICIDIO
Cercò di strangolare la compagna: condannato a 8 anni e 8 mesi
Buttata a terra. Con un ginocchio sull'addome mentre le mani di lui stringevano sul suo collo. Anna, 43 anni, esile come un giunco; lui, maliano, 35, alto e possente. Aveva mollato la presa non appena i poliziotti erano apparsi sulla soglia di casa, ma l'intento era chiaro: tentato omicidio. Almeno secondo l'accusa. E anche per la gup Sara Micucci, che ieri l'ha condannato a 8 anni e 8 mesi, otto mesi in più rispetto alla richiesta del pubblico ministero. La scelta del rito abbreviato gli ha comunque consentito di poter beneficiare dello sconto di un terzo della pena. Ad Anna, che si era costituita parte civile, è stata riconosciuta una provvisionale di 5.000 euro in attesa della valutazione del risarcimento in sede civile. Respinta, invece, la richiesta da parte della difesa di concedere all'uomo gli arresti domiciliari.
Da un anno lei aveva deciso di condividere la sua casa, un appartamento in via Colla, in cui le due vite seguivano spesso ritmi diversi. Un'esistenza difficile, quella di Anna, ma anche il compagno aveva perso il lavoro dopo un infortunio. Tuttavia, pare fosse lui a consegnare una certa somma giornaliera a lei per poter andare avanti.
Litigi? Discussioni? Forse qualcosa era accaduto nei mesi precedenti. Eppure, nulla di così preoccupante. Ma il 2 aprile scorso esplode un conflitto furioso. Banale, almeno per quanto hanno raccontato entrambi, la ragione: lui non sarebbe più riuscito a trovare le chiavi della cantina in cui conservava gran parte delle sue cose, anche i prodotti utilizzati per poter preparare un po' di cibo ad alcuni amici che vivevano in condizioni piuttosto difficili.
Chiavi sparite e colpa che ricade su di lei. Perché lui si è detto certo di averle appoggiate sul solito comodino la sera prima, ma di non averle più ritrovate la mattina seguente, mentre Anna, che quella sera era uscita da sola, era poi tornata a casa a tarda notte.
Quasi surreale il racconto, ma è ciò che lui ha riferito per tentare di spiegare l'aggressione. Le chiavi che non si trovano, e lui che accusa lei. «Le ho dato solo uno schiaffo, e non volevo certamente ucciderla», ha ribadito più volte. E il suo difensore, Laura Ferraboschi, ha insistito a lungo sull'assoluzione, sottolineando che «gli indizi erano carenti e il movente inesistente».
Ma quel giorno è una vicina a sentire le urla di Anna. Quelle grida potenti, che man mano si fanno più flebili, però riesce a udire quell'invocazione: «Mi ammazzi, mi ammazzi». Ed è lei a lanciare l'allarme. A far sì che la polizia arrivi quando lui ha ancora le mani attorno al collo di Anna.
Georgia Azzali