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Molesta la propria dottoressa con messaggi, telefonate e minacce: patteggia dieci mesi
Nell'ambulatorio della dottoressa di famiglia, si presentò da paziente, per entrare quasi in contemporanea anche nella vita di colei che l'aveva in cura come un'ingombrante «malattia». Al medico di base preso di mira servì un anno, con tanto di denuncia in Procura, per «guarire» dalla persecuzione del quarantasettenne parmigiano che avvelenò i giorni della professionista fino a quando non fu colpito finalmente da un divieto di avvicinamento. Mesi e mesi di chiamate e Whattsapp alle ore più disparate del giorno e della notte, ma con una costante: il contenuto irriferibile, quasi sempre senza variazioni. Ora, i mesi sono a carico del molestatore, che ne ha patteggiati dieci di reclusione, con un «resto» di venti giorni, con la sospensione condizionale della pena subordinata alla partecipazione a un percorso di recupero (due volte alla settimana per un anno). Potrebbe essere utile a lui per primo, visto il modo malato in cui ha dato prova di voler approcciare una donna.
Per la dottoressa, l'incubo cominciò nel marzo dello scorso anno. Facile per il suo paziente venire in possesso del numero di cellulare della professionista, di una decina di anni più giovane di lui. Lui se ne servì fin da subito per inviare messaggi che nulla avevano di galante e nemmeno di rispettoso. Fin dal primo il 47enne fu particolarmente osceno e volgare, venendo immediatamente «depennato» dalla lista dei pazienti della dottoressa, che fece sapere all'Ausl di non voler più saperne di quell'assistito.
Ma la persecuzione era solo appena iniziata. A quelle parole che già lasciavano trasparire una minaccia presto se ne aggiunsero altre, ancora più esplicite nella loro aggressività. L'ex paziente arrivò infatti a scrivere: «Mi sta venendo voglia di stuprarti in modo violento». Chiarendo poi ancora meglio cosa intendesse dire, ovvero «picchiarti mentre ti violento».
L'ossessione crebbe con il tempo. Sia nel contenuto che nella frequenza dei messaggi. A decine potevano contarsi, in alcuni giorni: parole oscene condite con farneticazioni. Poi, una sorta di «salto di qualità», con l'invio di fotografie da parte del quarantasettenne di organi genitali e dell'ingresso dello studio medico in cui esercitava la dottoressa. Tanto fece, che la giovane professionista dovette cambiare le proprie abitudini, cercando di non restare più sola al lavoro, specie nel tardo pomeriggio. Si trovò anche uno studio con altri colleghi. E qui, nonostante da mesi non fosse più il suo assistito, una sera si presentò il quarantasettenne, al termine delle visite. Non riuscì a entrare, e da quel giorno si ritrovò con un braccialetto al polso. Con l'obbligo di stare alla larga dalla sua vittima. La persecuzione finì solo allora.
Roberto Longoni