FESTIVAL VERDI

Manuel Renga: «A Busseto un “Macbeth” immersivo»

Al Festival Verdi, il «Macbeth», versione 1847, debutta questa sera al Teatro Verdi di Busseto, in un nuovo allestimento realizzato nei laboratori di scenografia e sartoria del Teatro Regio di Parma, firmato da Manuel Renga che, ormai alla sua terza produzione, dice di «sentirsi a casa» a Busseto.

Maestro Renga, Verdi era un grande uomo di teatro. Cosa penserebbe di questo “vostro” «Macbeth»?

«Fare Verdi nella sua terra ci fa sentire tutta la responsabilità ma anche una certa energia. Ci chiediamo continuamente cosa penserebbe. È un allestimento molto teatrale, anche lo spazio scenico abbraccia il pubblico e abbiamo scavato molto nella psiche dei personaggi, quindi secondo me gli piacerebbe. Nel terzo atto voleva tutte le fantasmagorie sulle apparizioni e abbiamo lavorato molto nel rispetto di quanto lui scrive. Questa versione del 1847 poi è molto più teatrale e shakesperiana di quella del 1865 perché è più asciutta, non ci sono i ballabili, ci sono molte parti sulla parola, sul respiro».

Avete sacrificato un paio di file della platea. Il pubblico sarà immerso nell’azione?

«Abbiamo ragionato sul principio del teatro elisabettiano, su questi come il Globe Theatre dove il palcoscenico arrivava in mezzo al pubblico che era una parte dello spettacolo con le sue reazioni anche rumorose. Una passerella esce sull’orchestra con due ali laterali e un raccordo frontale che le unisce in una sorta di ferro di cavallo. Senza togliere alcuno spazio alla buca, che è già piccolina, ci siamo allargati sulla platea. Il risultato è che ogni spettatore sarà dentro lo spettacolo».

Dentro l’opera più psicologica di Verdi. Venire dalla prosa la aiuta?

«Nel “Macbeth” non si capisce mai se siamo in una situazione reale o dentro la mente dei due personaggi. Il lavoro è stato molto approfondito dal punto di vista della ricerca teatrale, nello scavo del personaggio, materiale nel quale, avendo io origini nella prosa, mi trovo molto a mio agio. Poi il canto di quest’opera è sulla parola, Verdi stesso diceva che in “Macbeth” i cantanti dovevano seguire più il librettista che il compositore proprio perché il masticare la parola e far diventare la parola azione scenica è quello per cui Verdi ha lavorato».

Il periodo di 17 anni della vicenda è qui riassunto in un tempo astratto…

«In una notte che non finisce mai. Proprio perché la Natura in seguito alle azioni violente dell’uomo è sovvertita e questo è molto chiaro in Shakespeare ma anche nell’opera. La Natura non è madre ma combatte contro l’uomo. La foresta di Birnam che si muove è una metafora bellissima di questo tema».

Una delle frasi del suo progetto di regia è “Macbeth cammina tra i morti”. Ce la spiega?

«Il tappeto di quest’opera è la guerra. Iniziamo con Macbeth e Banco che hanno appena finito una battaglia e finiamo con la guerra tra i due eserciti. È una guerra che non ha una collocazione temporale ma è universale, è forse per sempre a seguire l’indole belligerante dell’uomo. Ed è come se Macbeth guardasse da lontano questa guerra perenne cosa che non può che farmi risuonare quello che provo io oggi guardando da lontano queste guerre a due ore di aereo da noi».

Ilaria Notari