Parure di smeraldi

Colpo al Louvre, rubati i gioielli di Maria Luigia: li portò anche a Parma

«Strappati» via. Non solo al Louvre, ai suoi visitatori, ma prima di tutto alla storia. La nostra, quella di Parma, compresa. Tra il «bottino» dei ladri che domenica si sono intrufolati al museo francese, c'erano anche alcuni «tra i più belli gioielli di Maria Luigia»: un collier di smeraldi e un paio di orecchini appartenenti originariamente a una parure formata anche da diadema, pettine e fermaglio da cintura. Il valore dei monili rubati? Quello storico inestimabile, quello economico si aggira attorno ai 4 milioni di euro, anche se fare una stima esatta pare impossibile.

La collezione
I ladri si sono introdotti nel museo francese con una tecnica che potremmo definire «d'altri tempi»: sono entrati salendo su un montacarichi, vestiti con gilet gialli da operai, e hanno rubato nove pezzi della collezione dei gioielli di Napoleone (due sono stati ritrovati subito dopo, abbandonati dai banditi durante la fuga). Tra cui, appunto, i gioielli della nostra duchessa. «Si tratta di pezzi meravigliosi, tra i più importanti in assoluto dello scrigno dei preziosi di Maria Luigia: è una perdita enorme, spero si riesca a recuperare qualcosa», commenta Francesca Sandrini, direttrice del Museo Glauco Lombardi, dove c'è anche una sala interamente dedicata alla duchessa.

Un'opera d'arte
Il timore più grande? «Che le pietre siano già state asportate dai gioielli per essere rivendute», risponde Sandrini. I preziosi della duchessa, infatti, sono vere e proprie opere d'arte di alta gioielleria. Un'opera del più celebre orafo del tempo, Nitot, la parure era costituita in totale da 143 smeraldi, 2.265 brillanti e 630 diamanti tagliati a rosa. Alla qualità eccezionale delle pietre - gli smeraldi provenivano dalle famose miniere di Muzo in Colombia - si sommava quella dell'esecuzione orafa, improntata a uno stile fortemente classico che, in linea con le scelte promosse dagli architetti Percier e Fontaine, adottava forme lineari e simmetriche e motivi, come le palmette, di chiara matrice greca e romana.

«Li portò a Parma»
Ma quei gioielli dicono molto di più. Vanno oltre la bellezza ammaliante delle pietre che luccicano sotto la teca. Raccontano del gusto di un'epoca e di una donna lungimirante, lontana e vicina insieme. Di usi e costumi che hanno segnato, in parte, anche la nostra identità. Raccontano di potere e ricchezza molto più di quanto si possa immaginare. La «storia» di questi gioielli è curiosa, come racconta la direttrice Sandrini (che ha dedicato anche un libro proprio ai gioielli della duchessa). Tutto parte dal 1810, quando Napoleone volle destinare alla moglie due coordinati straordinari, fra cui quello rubato al Louvre. Coordinati che vennero consegnati dallo stesso creatore, Nitot, e furono oggetto di un'attenta expertise. Quando Maria Luigia, nel «fatidico» 29 marzo 1814 abbandonò Parigi, portò con sè i suoi monili: i gioielli della corona li dovette restituire all'emissario dei Borbone, mentre i beni personali rimasero a lei. Tra questi, «anche la sua parure di smeraldi, che portò a Parma fino alla sua morte avvenuta nel 1847», informa Sandrini.

E dopo? A parlare è lo stesso testamento di Maria Luigia: «Lego a mia zia l'arciduchessa Elisa la mia grande parure di smeraldi e diamanti consistente di un diadema, di un collier a pere, un paio di orecchini, un pettine e un fermaglio di cintura», scrisse la duchessa. La zia di cui parla era Maria Elisabetta di Savoia-Carignano, che aveva sposato l'arciduca Ranieri, figlio del sacro imperatore Leopoldo II e viceré del Lombardo Veneto. Attraverso diversi passaggi poi, i gioielli rimasero al casato austriaco. Nel 1952, il ramo svedese cedette il diadema e il fermaglio da cintura. Gli smeraldi vennero rimossi e montati su un altro gioiello, che una privata comprò e portò a Washington. Il collier e gli orecchini, intatti, furono venduti a un altro privato che ne concesse il prestito nel 1962 per una mostra al Museé du Louvre. Solo nel 2004, grazie ai «Fonds du Patrimoine» e alla «Societè des Amis du Louvre» i due pezzi sono entrati a fare parte della collezione del museo francese, che li ha acquistati per 3 milioni e 700mila euro.

«Quando ho saputo che nel furto erano compresi i gioielli della duchessa, ho subito pensato alle date che hanno segnato la loro storia - riflette la direttrice Sandrini -: il 1814, quando la duchessa li porta a Parma, il 1962, quando “ritornano alla luce”, il 2004, quando diventano parte della collezione del Louvre e il 2025, la data del loro furto».

L'esperta si ferma mentre rievoca queste tappe. Pare incredibile che, ora, quei preziosi siano nelle mani di ladri e malviventi.

«Sembra una rapina alla Diabolik, quella successa al Louvre - commenta la direttrice del Glauco Lombardi -: e stupisce come al giorno d'oggi si possano verificare episodi di questo genere in un luogo presidiato in quel modo». Ed è difficile pensare anche al destino di quei gioielli. Magari già «smembrati» e venduti. Magari, chissà, non potremo mai più rivederli. «Ma sono certa - ammette Sandrini - che i francesi ce la metteranno tutta per recuperarli». E recuperare, così, un pezzo di storia. Un pezzo, alla fine, anche di noi.

Anna Pinazzi