Intervista

Fabrizia Sacchi: «Io e Guadagnino? Rapporto magico»

Francesca Ferrari

Sarà uno «Stabat Mater» di grande realismo e potenza espressiva quello che verrà presentato al Teatro al Parco il 28 ottobre alle 21 (in replica fino a giovedì) per la nuova stagione Solares Fondazione delle Arti/Teatro delle Briciole. A dare corpo, voce ed energia vitale a Maria Croce, protagonista di questo intenso monologo scritto da Antonio Tarantino, una delle più interessanti e carismatiche attrici della scena teatrale e cinematografica italiana, Fabrizia Sacchi, qui diretta dal pluripremiato Luca Guadagnino (regista di film come «Chiamami col tuo nome», «Challengers» e «After the hunt», quest'ultimo attualmente nelle sale), che ha curato la regia teatrale insieme a Stella Savino.

Quanto c’è della sua Napoli, dove è nata e cresciuta, in questo lavoro?

«Il testo di Tarantino mi ha folgorata perché ha una specificità: è fluido, si presta a svariate letture. Io ho dato una interpretazione personale affondando nelle mie radici, nei ricordi della mia città natale. Non possiamo parlare, quindi, di adattamento teatrale ma di interpretazione e ringrazio Tarantino per avermi concesso di affrontarlo così. È un testo che ha risuonato subito dentro di me e ho ritrovato nella protagonista - in quel linguaggio popolare, diretto, che dà vita a tanti personaggi diversi - tutte quelle donne che cercano di sfuggire al proprio destino borderline, che soffrono ma restano leonesse, che gridano ma non sono folli. Il delirio di Maria, quel suo flusso di coscienza inarrestabile, è un autentico atto di liberazione e di vita».

Prima di lei «Stabat Mater» ha avuto memorabili interpreti come Maria Paiato e Piera Degli Esposti. Oltre al linguaggio, per cosa si distingue la sua Maria Croce e per cosa vorrebbe venisse ricordata?

«Non sono stata influenzata dalle meravigliose attrici che mi hanno preceduta perché non ho, purtroppo, avuto modo di ammirarle in questo lavoro. Credo che, però, alla mia interpretazione si possa riconoscere forza espressiva. Il mio è un corpo a corpo con il testo, dentro a una messinscena rudimentale; tutto si costruisce nell’energia di respiro e di cuore. Non è una prova semplice ma la scrittura è importante: si parla di discriminazione, della paura dell’Altro. Ecco, vorrei che il pubblico comprendesse e ricordasse la bellezza di non essere discriminatori».

Il regista Guadagnino l’aveva già diretta al cinema. Com’è stato condividere l’esperienza teatrale?

«È stato magico. Noi ci conosciamo da tempo e ho voluto proprio lui alla regia. La sua visione - mai superficiale, così fuori dagli schemi - era necessaria: questo testo non può essere banalizzato perché esso rappresenta una fuga dall’ovvietà. Mi serviva lo sguardo di Luca per rendere tutto molto più vivo e reale«.

Perché Stabat Mater può essere considerato un testo politico?

«Maria parla continuamente di politica, contrapponendola alla sua spiritualità, e il figlio stesso finisce in carcere per motivi politici. E poi il testo indaga i temi sociali in maniera chiara e netta. Credo, tuttavia, che non debba essere categorizzato: è un capolavoro che racconta di disagio, ma anche di amore e dolore. È un testo teatrale vivo che non invecchia mai».

Il tema politico l’ha accompagnata anche nel biopic «Berlinguer-la grande ambizione», dove interpretava Nilde Iotti...

«Un’occasione bellissima, frutto di un approfondito studio documentaristico. La Iotti era una figura politica trasversale, stimata da tutti, di grande levatura, e incarnava in pieno l’ambizione del titolo, quell’ideale cooperazione tra i partiti a cui Berlinguer aspirava. Sarebbe bello se anche oggi qualcuno credesse in quella ambizione, se tutte le parti collaborassero per il bene comune».

Francesca Ferrari