Il ricercatore palestinese Timraz all'ateneo di Parma

«I bambini di Gaza elaborano il dolore disegnando la guerra»

Monica Tiezzi

Mohammed Timraz, 29enne palestinese di Gaza con laurea in lingua e letteratura inglese e francese all'università Al-Azhar, aveva inaugurato da sei mesi il suo bar a Gaza, il «Grey Cafè», quando piombò su Israele il blitz di Hamas del 7 ottobre 2023. Lo dice mostrando una foto dell'elegante interno del locale, sul modello degli internet cafè occidentali. «Ci avevo investito tutti i miei risparmi, perché è da quando avevo 13 anni che lavoro. Avevo dieci dipendenti, ero entusiasta. Due settimane dopo il 7 ottobre, era ridotto in macerie».

La seconda vita di Mohammed inizia da lì per approdare, oggi, all'università di Parma: è uno dei due ricercatori (l'altra è Alaa, trentenne laureata in economia, ora momentaneamente ad Oxford, che sta facendo una ricerca sulle start up di donne immigrate) selezionati nell'ambito del progetto indetto dal Centro universitario per la cooperazione internazionale (Cuci) per ricercatori palestinesi.

Un secondo progetto, Iupals (Italian universities for palestinian students), promosso dalla Conferenza dei Rettori delle università italiane (Crui) in collaborazione con i Ministeri dell’Università e della Ricerca, degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e con il Consolato italiano a Gerusalemme, prevede l'arrivo a Parma di nove studenti palestinesi che frequenteranno corsi in lingua inglese di due anni per conseguire lauree magistrali.

Progetti, dice il prorettore alla didattica Simone Baglioni, sociologo, «possibili grazie ad un lavoro di squadra che coinvolge Ergo (l'Azienda regionale per il diritto agli studi superiori), Ausl, Comune, Caritas, parrocchie, oltre a Michela Semprebon, delegata del rettore per i rifugiati, e Nadia Monacelli, ex presidente Cuci».

Ma torniamo a Mohammed. Dopo il 7 ottobre, isolato a Gaza come tutti i suoi connazionali, cerca contatti sui social. «Fra mille difficoltà, perché le connessioni erano difficilissime. Per le bombe e per la volontà di Israele di non far trapelare notizie all'estero», dice.

La casa della sua numerosa famiglia (sei sorelle e tre fratelli, oltre mamma e papà) rimane solo parzialmente distrutta: «Una fortuna, perché abbiamo potuto affrontare due inverni non in tenda», dice.

Mohammed si fa tantissimi amici ovunque, via web, sull'onda di solidarietà per la Palestina. In particolare Feile Butler, un'architetta irlandese. «Gli irlandesi, assieme agli italiani, sono quelli che hanno mostrato più sensibilità per la nostra condizione. Feile mi contattava spesso e iniziava sempre i messaggi con “Sei ancora vivo?”. Un giorno mi manda un disegno di sua figlia, io ricambio con un disegno di un mio nipote di sette anni: rappresenta un bambino senza testa, l'immagine di un video di un bombardamento a Khan Yunis che mio nipote aveva visto sul telefonino».

Feine rimane scioccata. Mohammed le racconta che in realtà i disegni aiutano i bambini traumatizzati a cominciare ad elaborare un lutto indicibile. E spiega che ha radunato in una tenda una ventina di bambini, che da oltre un anno non possono più andare a scuola, per permettere loro di disegnare: «Non ho chiesto scene di guerra, disegnate quello che volete, ho detto. Ma bombe e stragi facevano capolino ovunque». Perché non farne una mostra?, suggerisce Feile.

È l'inizio del progetto «HeArt of Gaza» (cuore, ma anche arte, di Gaza). Un'idea cresciuta sui social e spinta dall'onda della solidarietà. «Oggi le tende a Gaza sono 17, gestite da amici e volontari, e coinvolgono oltre 200 bambini e ragazzi fra i 3 e 17 anni che continuano a non poter frequentare le scuole». Due di loro sono stati uccisi: «Mohammed, di 13 anni, e Reema, di 11», dice Mohammed. Ed è l'unica volta che la voce si rompe.

Il viaggio per arrivare a Parma non è stato facile, ammette Baglioni. E solo ora si può cominciare a dare concretezza al progetto di accoglienza degli studenti.

Poiché niente può ancora uscire da Gaza («sono arrivato in Italia con questo, non mi è stato permesso di portare nessuna valigia», dice Mohammed mostrando un piccolo marsupio), i disegni dei bambini palestinesi sono stati scannerizzati e spediti online: «Dal 12 luglio 2024 ad oggi abbiamo fatto 150 mostre solo in Italia, 250 nel mondo», dice Mohammed. «E a novembre inaugureremo una mostra anche a Parma» preannuncia Baglioni.

Da qui l'altra idea: un lavoro di ricerca sull'arte che cura. Mohammed ha saputo, tramite la Ong «Yalla Study», della possibilità di una borsa di studio di un anno in Italia e ha fatto domanda. Il colloquio con l'ateneo di Parma è avvenuto online, e Mohammed è stato accettato. Oggi lavora con la docente di storia del teatro Roberta Gandolfi: un lavoro su come le arti performative aiutano a superare i traumi.

Intanto Mohammed (oltre a studiare italiano) cerca di lavorare sui suoi traumi. «Parma è bella, accogliente, quasi una seconda casa» dice, spiegando di aver trovato all'arrivo, all'aeroporto di Linate, tanti amici conosciuti sul web che lo hanno aiutato, ad esempio, a comprarsi un po' di abiti. Anche Feile è venuta a Parma a salutarlo.

«Cerco di tenermi in forma, di non pensare, corro. Ma quando sono solo nella mia residenza universitaria in viale Pasini mi manca la famiglia. Mi sento un corpo senz'anima. L'anima è rimasta a Gaza». Dal 7 ottobre 2023, «dormo tre ore a notte, non di più». A novembre, spiega Baglioni, il ricercatore inizierà un percorso psicologico in lingua inglese.

«La pace? Per ora è una tregua continuamente violata - dice Mohammed - Il mondo non sa davvero cosa è accaduto e cosa sta accadendo. Ed è terribile che a pagare il prezzo siano anche i bambini».

Monica Tiezzi