LA CURIOSITA'
L'asteroide Tito Stagno
Al giornalista dedicato il corpo celeste orbitante tra Marte e Giove. "È identificato con il numero 110.072: lo giocherò subito al lotto"
Lo scorso anno fu dato il nome Tito Stagno a un asteroide. Ecco l'articolo uscito sulla Gazzetta il 17 maggio 2021.
Oltre la Luna, tra Marte e Giove. Stavolta, in orbita è andato lui, Tito Stagno, e senza conto alla rovescia né accensione di razzi. Al telecronista lunare che 52 anni fa fece scendere gli italiani dal Lem insieme con Neil Armstrong sul sabbioso Mare della Tranquillità è stato intitolato un asteroide. Si calcola ce ne siano oltre 500mila, e in genere il loro battesimo si liquida con l'imposizione di una cifra: a pochi è dato il nome di un essere umano. Questo, però, ha visto la propria matricola associata a un glorioso «Tito Stagno, the Tv live Reporter for the first Moon Landing».
Amante dell'esattezza e del dettaglio (lui preferisce dirsi «pignolo»), l'astrogiornalista ha preso nota anche del numero. «È il 110.072: provvederò a giocarlo subito al lotto». Scherza, ma oltre all'ironia la voce tradisce gioia e sorpresa. Premi sulla terra Stagno dice di non averne ricevuti: ora è sua una medaglia appuntata sulla volta celeste. Luccicante, per quanto invisibile a occhio nudo. Un frammento celeste per il momento a lui sconosciuto per dimensioni e posizione («Speriamo solo che resti a distanza di sicurezza - sorride -. A volte ne passa qualcuno fin troppo vicino alla Terra»). Troppo fresca la notizia: Stagno non ha ancora avuto il tempo di indagare.
A portarlo lassù, nella fascia di rocce orbitanti che divide dagli altri i tre pianeti interni del Sistema solare sembra sia stata Amalia Ercoli Finzi, la prima donna ingegnere spaziale, che contribuì alla realizzazione della sonda Rosetta. «La segnalazione dovrebbe essere sua - spiega il giornalista Rai -. Assicura di avere un carattere di ferro e nervi d'acciaio. “Mi chiamo Stagno, veda lei” potrei dirle». Per di più temprato dallo spazio.
In realtà, il novantenne Stagno non è mai del tutto sceso sulla Terra. «Ancora oggi - ricorda - mi chiamano sia dall'Agenzia spaziale europea che dall'Agenzia spaziale italiana. In occasione del cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna avvenuto il 21 luglio del 1969, sono stato invitato a parlare al teatro San Carlo di Napoli...». Manco a dirlo, la telecronaca di quel giorno è impressa nella sua mente come su un nastro. E così la querelle con il collega Ruggero Orlando in diretta dagli Stati Uniti. «Avevamo ragione entrambi - sottolinea -. Ma io più di lui. “Ha toccato la superficie della Luna” dissi, parlando delle antenne sotto il Lem che dovevano rilevare la pendenza del suolo: fosse stata superiore al 14 per cento, gli astronauti una volta al suolo si sarebbero ribaltati. Invece, Ruggero interpretò la mia frase come il segnale dell'allunaggio completo».
Fu uno scontro tra titani, nella diretta più importante (o almeno dai confini più dilatati) della storia. «Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, rideva come un matto, tanto da non riuscire a parlare. Villy De Luca, direttore del telegiornale, scherzando, commentò: “Bell'amico!”. Infatti, quando Ruggero rientrava dagli States veniva sempre ospite a casa mia». Ma nel corso di quell'impresa durata giorni e centinaia di migliaia di chilometri Stagno doveva difendere l'assolutezza del momento. «Sono sposato alla verità come a mia moglie Edda. Se le immagini, che nel corso di una telecronaca catturano il 90 per cento dell'attenzione, non bastano, allora servono le parole. Ma devono essere informazioni chiare e precise». Stagno si era preparato alla telecronaca quasi quanto gli astronauti alla missione. E così durante la discesa verso il suolo lunare fu in grado di fare la telecronaca al buio. «Ero stato nel Lem - ricorda -. Potevo descrivere quella capsula grande come un ascensore. All'annuncio che la velocità era ancora di 5 metri al secondo, Houston replicò con l'ordine di rallentare. Allora spiegai che si doveva procedere a un metro al secondo, fino all'allunaggio».
Sulla Luna Stagno ha lasciato un pezzo di cuore. Parma, invece, gliel'ha preso tutto: è qui che il giornalista conobbe la moglie Edda Lavezzini (a sua volta giornalista e nostra collaboratrice), 64 anni fa. Corsi e ricorsi esistenziali, dopo che il futuro telecronista era venuto bambino, al seguito del padre dipendente di Confindustria. Il ricordo è luminoso, alla faccia dei pidocchi che infestavano la scuola. «Ero all'Angelo Mazza - racconta -. Ci feci metà della seconda elementare e poi la terza e la quarta. La quinta, poi, la saltai, passando subito al ginnasio». Quindi, il ritorno in Sardegna, e gli studi classici a Cagliari, con professori «seri e severi». Fu sull'isola che avvenne il primo incontro con la futura consorte, venuta con il padre esperto mondiale di pioppicoltura.
«Un anno dopo - prosegue Stagno - mi chiamano da Parma per invitarmi a seguire una manifestazione di macchine agricole. Ero già un giornalista Rai: chiesi a Vittorio Veltroni di inviarmi. Lui mi rispose con una domanda: “Come si chiama?”». Stagno pronunciò il nome di Edda e partì. Fece il servizio sulla fiera, ma alla sera fu ospite dei Lavezzini per la celebrazione di una ricorrenza di famiglia a Salsomaggiore. «Sembrava dovesse finire tutto con un paio di balli, anche se sentivo che stava nascendo qualcosa: l'indomani mattina, mi sentivo un po' stupido per questo, quando vidi Edda arrivare in stazione, sulla sua biciclettina. “Sapevo che partivi e mi dispiaceva saperti tutto solo” mi disse».
Il fidanzamento nacque così. Ma sulla strada per l'altare sembrava si fosse messo di traverso il padre di Edda. «Lei aveva 17 anni e lui non era d'accordo che ci sposassimo». La replica fu ispirata dall'amore per la verità (oltre che dall'amore puro e semplice). «E me lo dice proprio lei che ha sposato sua moglie sedicenne?» ribattei. Sarà stato poco diplomatico, ma il genitore dall'ostilità sarebbe presto passato alla benedizione della coppia. Che cosa poteva di fronte all'esattezza della cifra di un'età? Del resto, sono i numeri a mandare l'uomo sulla Luna o ancora più in là. I numeri che identificano molti corpi celesti. Ma se a un matematico 110.072 si aggiunge un nome che vale emozioni da orbita collettiva anche lo spazio appare subito meno freddo.