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Sesso per curare il papilloma: per il giudice è "assurdo ma non è violenza". Medico ai domicilari
Un rapporto sessuale «teorizzato di liceità», perchè «contrabbandato come avente finalità terapeutiche» è «certamente detonante dell’intento del medico di compiere una congiunzione carnale», ma «dubbi si pongono circa l'idoneità dell’atto stesso a ledere la libertà di determinazione delle donne». Ne sono convinti i giudici del Tribunale del Riesame di Bari, chiamati a decidere sulla richiesta di detenzione in carcere per il ginecologo barese Giovanni Miniello. Richiesta respinta. I giudici Giulia Romanazzi, Giuseppe Montemurro e Arcangela Stefania Romanelli, hanno infatti rigettato l’appello della Procura, confermando le valutazioni fatte dal gip a novembre nell’ordinanza di arresto e quindi la detenzione agli arresti domiciliari per due episodi di violenza sessuale aggravata su due pazienti che Miniello avrebbe palpeggiato durante le visite. Non hanno invece ritenuto sussistente l’ipotesi che anche la proposta di rapporti sessuali come cura per il papillomavirus sia configurabile come violenza. Secondo i giudici, cioè, «per quanto deontologicamente scorretta, la condotta di Miniello non risulta nè irresistibilmente coattiva nè posta in essere con approfittamento delle condizioni di inferiorità fisica o psichica delle pazienti», tanto è vero che «la proposta terapeutica alternativa era apparsa talmente surreale» alle pazienti da rifiutarla.
Dalle dichiarazioni delle stesse donne, evidenziano i giudici, «emerge la percezione avuta della improbabilità, al limite dell’assurdo, che una tale pratica sessuale potesse avere un effetto curativo». Per la difesa dell’indagato, l’avvocato Roberto Eustachio Sisto, «il provvedimento del Riesame e quello del gip, si sono posti in perfetta linea con i fondamentali principi in materia di libertà personale». A sostegno dell’accusa, il procuratore Roberto Rossi, l’aggiunto Giuseppe Maralfa e le due pm che coordinano l’inchiesta, Grazia Errede e Larissa Catella, avevano inoltre sostenuto che nella proposta di «terapia del sesso» fatta da Miniello mancasse uno dei cardini della medicina: il consenso informato delle pazienti. Anche su questo i giudici non sono d’accordo. «La prospettazione non già di una terapia medica al più non convenzionale e ordinariamente non conosciuta, ma di dati di realtà inesistenti instillati a pazienti nel pieno possesso delle proprie facoltà intellettive sensoriali e in grado di comprendere perfettamente il senso assurdo del gesto - dicono - , non è qualificabile in termini di attività medica che necessita, per la sua validità e liceità, del consenso informato del paziente». La Procura chiedeva anche di ritenere non tardive le querele di altre due pazienti che hanno denunciato molto tempo dopo i fatti, solo quando hanno compreso - secondo i pm - di essere state vittime di abusi. «Le vittime - scrivono i giudici a questo proposito - avevano ben compreso lo sconfinamento del limite dell’attività diagnostico terapeutica di Miniello» già nel corso delle visite e «non si comprende come possa ragionevolmente sostenersi che abbiano acquisito consapevolezza di aver subito molestie sessuali solo dopo» tanto tempo. Oltre questi episodi, nei confronti del medico, dopo un servizio andato in onda nella trasmissione «Le Iene» e poi dopo l'arresto, sono state presentate denunce di presunti abusi subiti da altre donne, portando il numero delle presunte vittime a 16 e a 29 gli episodi contestati di violenza sessuale e lesioni.