MILANO

Bimba morta di stenti: la mamma, pensavo che i biberon bastassero

Donna al processo per omicidio ,l'ho lasciata sola alcune volte

«Sì, l’ho lasciata sola. Pochissime volte, non ricordo quante. Andavo via e di solito l’indomani tornavo subito a casa. Le lasciavo due biberon di latte, due bottigliette di acqua e una di 'teucciò. Ero preoccupata, avevo paura di molte cose, che riuscisse a bere il latte. Pensavo bastasse «. Lo ha detto Alessia Pifferi davanti alla Corte d’Assise di Milano, nel processo in cui è imputata per l'omicidio volontario aggravato della figlia Diana di soli 18 mesi, morta di stenti dopo essere stata abbandonata da sola a casa per sei giorni.
Rispondendo alle domande del pm Francesco De Tommasi, la 37enne ha spiegato di averla già lasciata sola altre volte prima di quella fatale. «Quando rientravo di solito era tranquilla che giocava con i suoi giochini nel lettino. La lavavo, la cambiavo e le davo la pappa». Come ha spiegato Pifferi, in quelle occasioni andava in provincia di Bergamo dal compagno, con il quale aveva da tempo una relazione «tira e molla».
Quando le è stato domandato come si comportasse solitamente con Diana, Pifferi ha risposto «la accudivo come una mamma accudisce normalmente un figlio. Le davo da mangiare, la lavavo e la cambiavo. Cose normali. Se stava male contattavo l'ospedale. La crescevo».

 «Avevo paura di parlare. Non dissi niente e lui mi riportò a casa sua. Per questa ragione non sono tornata a casa da Diana». A parlare è Alessia Pifferi, a processo davant i alla Corte d’Assise di Milano per l’omicidio volontario pluriaggravato della figlia di appena 18 mes i, morta di stenti nel luglio del 2022 dopo essere stata lasciata a casa da sola per sei giorni. Rispondendo alle domande del pm, la 37enne ha raccontato che quella settimana si trovava in provincia di Bergamo con il suo compagno. Quando lui, due giorni prima del ritrovamento del corpo della bimba, era dovuto andare a Milano per lavoro, Pifferi lo aveva accompagnato, ma senza passare dalla casa di via Parea in cui la piccola Diana era da sola. «Io mi preoccupavo di mia figlia - ha detto, - ma purtroppo avevo paura delle reazioni del mio compagno. Avevo paura di parlare con lui, era parecchio aggressivo nel verbale. Una volta ha anche cercato di sbattermi contro a un vetro in una discussione. Mi preoccupavo per mia figlia ma al tempo stesso avevo paura di chiedergli di portarmi a casa». In altri passaggi del suo esame in aula, la donna ha spiegato più volte che per il compagno la bambina «era un intralcio». È ancora: «Diceva che le voleva bene, ma non era vero. Mi ha usata e basta».

«Mi manca mia figlia, mi sento spenta, mi sento buia. Ero orgogliosa di mia figlia, non è mai stata un peso per me». Lo ha detto Alessia Pifferi davanti all Corte d’Assise di Milano nel processo in cui è imputata per l'omicidio volontario pluriaggravato della figlia Diana di 18 mesi, morta di stenti dopo essere stata lasciata a casa da sola per sei giorni. «Vivo alla giornata - ha detto rispondendo alle domande del suo difensore Alessia Pontenani -, vivo malissimo. La mia bambina mi manca tantissimo. Il carcere non è di certo un bel posto. Se tornassi indietro non lo rifarei di sicuro».

 «Sono pentita», ha aggiunto la 37enne, ribadendo che non aveva intenzione di fare del male alla bambina. «Non pensavo potesse succedere una cosa del genere - ha detto in un altro passaggio del suo esame in aula -, anche perché io non ho mai pensato di farla fuori». Una presa di consapevolezza, questa, che la 37enne avrebbe affrontato durante il percorso psicologico in carcere. «Ho capito che i bambini non si lasciano». «Parlando con le psicologhe - ha aggiunto - mi sono ricordata che il mio compagno mi diceva di lasciarla da sola in casa per andare a fare la spesa. Due o tre volte mi disse di lasciare la bimba a casa nel lettino per andare con lui al supermercato a Leffe. Qui cominciai a lasciarla».