LE MOTIVAZIONI DELLA DECISIONE
Neonati sepolti, i giudici del Riesame: "Domiciliari perché il contesto di Chiara è mutato. Ma con il braccialetto, rischi per l'ambiente esterno"
Il contesto familiare e ambientale di Chiara Petrolini, che ha caratterizzato la commissione dei gravissimi delitti contestati alla 22enne, accusata di aver ucciso e sepolto i cadaveri di due figli neonati, è profondamente mutato rispetto a quello originario e questi mutamenti si prestano ad una "valutazione calmierata" delle esigenze cautelari legate al pericolo che possa nuovamente commettere gli stessi reati: gli arresti domiciliari nella casa di Traversetolo dove si trova da settembre 2024, sono risultati e risultano dunque pienamente rispondenti a soddisfare le residue esigenze cautelari. Ma se il contesto familiare può essere effettivamente un deterrente, altrettanto non può dirsi per l'ambiente esterno. Questo il motivo per cui il Tribunale della Libertà di Bologna (presidente Pier Luigi Di Bari, estensore Gianluca Petragnani Gelosi), lo scorso giugno, chiamato per la seconda volta a pronunciarsi sulla misura adeguata per la ragazza, dopo l'appello della Procura, una prima decisione per il carcere e un rinvio dalla Cassazione ad una rivalutazione, ha deciso di aggiungere l'applicazione del braccialetto elettronico.
Le motivazioni sono state depositate nelle scorse settimane. Il braccialetto, secondo il tribunale, consente infatti di monitorare le autorizzazioni di cui Chiara usufruisce, nell'ambito del percorso di recupero che ha intrapreso, cioè l'iter psichiatrico e psicoterapeutico. Per i giudici, infatti, chiamati a motivare sul pericolo di recidiva specifica, questo pericolo di reiterazione sarebbe più acuto in corrispondenza delle uscite autorizzate negli studi medici, posto che, all'allontanamento dal domicilio è correlato il rischio che, "in ragione delle notevolissime capacità decettive di cui ha dato prova nel corso di questa triste vicenda", la 22enne approfitti delle autorizzazioni per avere contatti con altre persone e che questi contatti portino a nuove gravidanze indesiderate, con alto rischio di esiti omicidiari, come ha già fatto, almeno, in una precedente occasione.
D’altronde, osserva il tribunale, spesso la cronaca giudiziaria riporta di casi di soggetti che, agli arresti domiciliari, hanno approfittato di un’autorizzazione per commettere attività illecite.
Il tribunale conferma inoltre, sulla base degli atti a disposizione, ma quando ancora si era in indagine, non ci sono elementi per parlare di un’infermità mentale e non c'è motivo di dubitare, allo stato, della capacità di intendere e di volere della giovane. La consulenza tecnica della difesa richiamava un disturbo riconducibile al diniego di gravidanza che, tuttavia, dice il riesame, la comunità scientifica non riconosce come malattia mentale.
Sul punto, cioè sulla capacità di intendere e di volere dell’imputata, è in corso una perizia, disposta dalla Corte di assise.