Eredità, la «rappresentazione» non vale per il figlio del nipote

IL QUESITO
Vorrei chiedere se esistono sentenze della Corte di Cassazione che supportino il fatto che, cito da una precedente risposta: «Mentre, invece, se il nipote è chiamato alla successione non per legge ma per testamento la rappresentazione non opera, perché il “primo chiamato” non è un figlio o un fratello, ma un nipote».
M.S.

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di Arturo Dalla Tana*
Torniamo quindi ad occuparci dell’istituto della «rappresentazione» che nel diritto successorio consente la sostituzione del chiamato all’eredità con il discendente. Istituto che opera per molti, ma non per tutti. Anche se la sostituzione del figlio con il genitore premorto è il caso più frequente, in realtà la rappresentazione costituisce l’eccezione alla regola generale, per cui l’eredità è devoluta al parente più vicino, come accade ad esempio quando eredi sono i cugini. Il figlio del primo cugino deceduto non prende il posto del padre, in presenza di un primo cugino ancora in vita.
IL NIPOTE
Se fin qui il discorso è abbastanza lineare, la cosa si complica quando chi ha redatto il testamento anziché nominare erede il figlio o il fratello salta una generazione e nomina erede il nipote. Che disgraziatamente viene a mancare prima di chi ha redatto il testamento. Cosa succede? Opera in quel caso la rappresentazione e il figlio del nipote prende il posto del padre? Verrebbe da dire di si, a prima vista, soprattutto facendo riferimento a quanto dispone l’art. 469 del codice civile secondo cui «la rappresentazione ha luogo in infinito». Ma non è così, secondo la Cassazione, che ha smentito sentenze di segno diverso (in particolare Corte d’Appello di Messina del 2003).
LA CASSAZIONE 
C’è un orientamento unico, che parte da lontano, tutto improntato all’interpretazione letterale della norma (“la rappresentazione ha luogo nella linea retta a favore dei discendenti dei figli del defunto e nella linea collaterale a favore dei discendenti dei fratelli e sorelle del defunto”). Già la Cassazione 911 del 1946 stabiliva che il chiamato doveva essere figlio o fratello del defunto, perché la rappresentazione potesse operare. La 1366 del 1975 si basava sul fatto che si tratta di un istituto di diritto singolare non suscettibile di interpretazione estensiva. La 5077 del 1990 ritiene che il rapporto di filiazione o fratellanza costituisca presupposto indispensabile. Per concludere con la 22840 del 2009 che riformando la diversa interpretazione della Corte d’Appello di Messina stabiliva che, poiché l’art. 468 circoscrive i limiti di applicazione dell’istituto della rappresentazione a favore dei discendenti legittimi del chiamato che sia figlio, fratello o sorella del defunto, sono esclusi i discendenti del nipote ex filio.
CONCLUSIONE 
La Suprema corte continua a ribadire un orientamento costante da cui altre sentenze difficilmente si discosteranno. Convincente del tutto? Forse no, perché una interpretazione meno ancorata al testo letterale della legge potrebbe essere più in linea con la (probabile) volontà di chi ha redatto il testamento. Rimedi? Soltanto per chi è in vita: redigere un testamento in cui la sostituzione del pronipote al nipote sia espressamente prevista.
* Notaio
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