Enore Paoletti, la divisa da mister per l'ultimo viaggio

Chiara Cacciani

«La portava sempre anche in ospedale, al posto del pigiama. Era così orgoglioso di quella divisa... – si scioglie in un sorriso commosso la moglie Giorgia – e io ne sono certa: lui avrebbe voluto arrivare lassù così».  
 Ed è così, con la divisa da mister della Asdb Langhiranese, che Enore Paoletti, 52 anni, ha ricevuto nella chiesa di Langhirano il saluto e l’affetto di un intero paese e del mondo calcistico parmense. Così che si presenterà sulla panchina di un altro, invisibile campionato. 


Nato a Langhirano, l’amore per il calcio era arrivato presto e presto aveva segnato la strada. Da giocatore, la sua carriera è legata al Vigatto, fino a quando un infortunio non lo a aveva portato a scegliere l’altro ruolo: quello dell’allenatore-educatore.  Con il suo entusiasmo, le parole poche e lo sguardo capace di «leggere» le persone, il senso della lealtà e della giustizia, ha trasmesso a diverse generazioni di calciatori il valore dell’impegno e della serietà unite alla bellezza di una passione.  
Qualità che ne hanno fatto – fino a quando la rara forma tumorale che lo aveva colpito glielo ha consentito -, il mister simbolo della Langhiranese. 


Lo stesso stile lo aveva sul lavoro: prima nel salumificio Cavalier Boschi, poi dal 2007 al prosciuttificio Pio Tosini, dove era stimatissimo capo-operaio. «Viveva il mestiere come una missione. E ogni mattina usciva di casa come fosse il primo giorno: felice della giornata che lo aspettava», racconta la moglie, al suo fianco da 31 anni. Parlano, le foto: ogni sguardo, ogni sorriso, ogni abbraccio racconta di una coppia che si è scelta ogni volta, che ha sempre rinnovato l’amore e che lo ha moltiplicato con la nascita di Gaia, Benedetta e Angelica.    «Enore aveva  valori antichi  – continua Giorgia -: amava la famiglia come una volta, il fare tutto insieme. Odiava la superficialità ed è stato un papà severo ma retto e di una generosità infinita. Era schivo ma il suo affetto arrivava sempre». Lo hanno vissuto così i genitori Virginia e Sergio, il fratello minore Ermes, cognate, cognati, nipoti. Al silenzio sostituiva il fare, il donarsi.  
Ne è un esempio il presepe che per tanti anni ha incantato Mattaleto.  «Ogni anno aggiungeva un pezzo fatto da lui, fino a quando è stato impossibile continuare in casa». 


E dal 2004 ogni anno la Natività "traslocata" sotto la tettoia si è ingrandita e perfezionata. «I vicini di casa ci hanno regalato un sacco di pezzi, era diventato quasi collettivo. Quest’anno, tra tutti i ricoveri, lui ha voluto che si mettesse almeno la capanna incastrata nella legnaia. Il 24 dicembre,  tornati dall’ospedale, l'abbiamo trovata pieno di messaggi».  
La malattia non l’aveva fermato: non aveva mai abbandonato la partita e aveva continuato a parlare del futuro. «Sognavamo da tempo di costruire la nostra casa: il rogito   per il terreno è saltato per l'ultimo ricovero, ma lui mi ha fatto giurare che non  avremmo rinunciato. E quest'anno, per la prima volta da quando lo conosco, aveva chiesto un regalo: un trenino elettrico per il nostro primo Natale là. La Vigilia, quando lo ha scartato, si è commosso».
 «La testimonianza di chi era e di che esempio è stato, sono tre figlie meravigliose - racconta il fratello Ermes -: ha lasciato in eredità delle persone che migliorano il mondo». 
Loro che adesso vogliono realizzarlo, il sogno di quella casa. Ci sono un trenino che aspetta di partire e un sorriso che attende da lassù.

 

IL RICORDO
«La società Langhiranese era la sua vita»

La prematura scomparsa di Enore Paoletti è stata un duro colpo per il calcio dilettantistico e, in particolar modo, per la Langhiranese che era diventata la sua seconda famiglia. «Il figlio prediletto», così lo ha ricordato sui social la società grigiorossa del presidente Riccardo Salati che non potrà mai dimenticare i momenti trascorsi assieme. «Ci mancherà tantissimo. Incarnava al meglio lo spirito di tutta la Langhirano calcistica, ci ha sempre dato una mano anche nelle attività di volontariato. Una persona seria e corretta, un gran lavoratore che pretendeva il massimo impegno dai ragazzi». Fin dal primo approdo nel 1996 da allenatore delle giovanili dopo la breve carriera da calciatore, interrotta da un infortunio, nel Corcagnano Vigatto in Terza Categoria e la prima esperienza da mister del Torrechiara. Poi solo o quasi Langhiranese sempre nel settore giovanile, tranne due brevi parentesi alla guida delle Juniores di Carignano e Traversetolo, fino a subentrare in prima squadra nella stagione 2013-14, in cui ottiene la salvezza in Prima ai play-out con la Cervarese. L’anno successivo il salto tramite i play-off in Promozione, dove rimane fino alle dimissioni rassegnate nell’ottobre 2018. Infine, nell’estate del 2019 il ritorno per alcuni mesi in sella agli Allievi del club della Val Parma. «La Langhiranese era la sua vita, riusciva a farsi rispettare e voler bene da tutti nello spogliatoio. E i tre spareggi vinti tra Promozione e Prima saranno ricordati per sempre». Il suo vice nelle ultime due stagioni è stato l’ex professionista Roberto Magnani. «Un uomo onesto e vero che amava profondamente questo sport. Dedizione, passione e umiltà di imparare le qualità che lo accompagnavano. Anche durante la malattia bastava parlargli di calcio e i suoi occhi si illuminavano». (Marco Bernardini)
m.b.