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Da Piacenza a Hollywood, Giorgio Armani compie 90 anni di stile e coerenza
- In un mondo in cui chiunque dice tutto e il contrario di tutto, Giorgio Armani si accinge a festeggiare 90 anni di coerenza. Di pensiero, che si è fatto stile, in un’unità di intenti che il mondo intero riconosce in una vita, iniziata l’11 luglio 1934 a Piacenza, e in una carriera, cominciata nel 1975, che ha portato Armani ad essere a capo di un gruppo, fieramente indipendente, simbolo del made in Italy.
In 50 anni di lavoro, consacrati da copertine su Time, dal successo a Hollywood, dalle One Night Only in giro per il mondo, dall’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana conferitagli dal presidente Mattarella, mai una contraddizione, uno sgarro a un’etica fatta di dedizione e passione. Che Giorgio Armani sia un perfezionista, capace di controllare ogni uscita di una sfilata una a una, di sorvegliare da vicino ogni dettaglio, è cosa nota.
«Sono pragmatico e razionale, ma le mie azioni vengono tutte dal cuore» ha sottolineato però lui, presentando anni fa il libro intitolato proprio 'Per amorè. «Sono un creativo razionale, ma la spinta - le parole pronunciate nella sua Piacenza in onore della laurea honoris causa conferitagli dalla Cattolica - nasce sempre dalla passione, da un’intuizione e dal desiderio bruciante di realizzarla. Ogni idea, in fondo, è frutto di un innamoramento e questo lavoro, che per me è la vita, è un atto continuo di amore».
Nel suo intervento di fronte agli studenti della Cattolica, Giorgio Armani aveva ricordato anche uno dei momenti più duri della sua vita, la morte del socio e compagno Sergio Galeotti, mancato nel 1985, dieci anni dopo aver fondato con lui la Giorgio Armani. «Il destino mi ha messo a dura prova e, a seguito della scomparsa del mio socio, per far sì che la Giorgio Armani sopravvivesse, ho dovuto occuparmi di persona dell’azienda. Molti pensavano che non ce l’avrei fatta, ma - aveva raccontato con grande sincerità - grazie alla mia caparbietà e al sostegno delle persone a me vicine, sono riuscito ad andare avanti».
I momenti difficili - la lezione consegnata ai giovani - «li ho superati con l’impegno e la dedizione e il rigore, i valori che ho assimilato in famiglia e che raccomando sempre di seguire per dar forma a ciò in cui si crede, ancora di più oggi che si moltiplicano i successi effimeri perché ciò che chiede impegno dura».
All’inizio della carriera, arrivato da Piacenza a Milano, anche per lui non è stato semplice: dal maggiolino Volkswagen venduto per lanciare l’attività alla paura di non essere all’altezza, ma poi «piano piano - raccontava a un’anteprima cinematografica qualche anno fa - ho preso forza e coraggio di voler essere qualcuno in questa avventura». E lo ha fatto lasciando un’impronta indelebile, che non è fatta solo di stile, ma di una visione di grande rigore: «Non sono un visionario - diceva presentando il libro che porta il suo nome - ma una persona con i piedi per terra. Vivo la quotidianità in un mondo che ho pensato di poter servire, cui essere utile con questo lavoro».
E lo ha fatto cambiando «il modo di vestire di uomini e donne, e questa - spiegava qualche anno fa - è una delle più grandi soddisfazioni». «Ho fatto la mia rivoluzione, sottile e sussurrata ma pesante - le sue parole - scardinando delle regole dell’abbigliamento che c'erano da 30-40 anni, come proporre un abito da sera con il tacco basso, togliere rigidità alla giacca, immaginare che una donna potesse essere vestita come un uomo».