L'intervista

Fusilli (Renault): "Il futuro dell'elettrico? Si gioca sulle infrastrutture"

Aldo Tagliaferro

Finalmente con il tavolo sull'automotive all'orizzonte si profilano fondi e incentivi, ma la senzazione è che al Paese sia manato finora un piano industriale complessivo per il settore. Cosa ne pensa?
«La sensazione è quella, che non ci sia una visione omogenea di come arrivare al fatidico 2035 e non è un caso che l'Italia ad oggi sia l'unico Paese europeo che non ha una pianificazione di sostegno alla transizione verso motorizzazioni più green. Ho però buone speranze che questa sensibilità arrivi velocemente, ma il quadro al momento non è chiaro né semplice e per le Case è difficile in questo momento pianificare».

Ma la transizione all'elettrico non è un po' troppo violenta?
«Partiamo da un concetto: l'accelerazione parte da delle regole che noi cerchiamo di rispettare. Però quel che dice è giusto: bisognerebbe anzitutto concentrarsi sull'eliminazione di 3-4 milioni di Euro 0, 1, 2, che fanno del nostro il parco circolante più anziano d'Europa. Il secondo tema è quello delle infrastrutture: il tema di fondo è che dobbiamo decidere su quali tecnologie investire. Se le normative Euro6 e 7 hanno costi industriali troppo alti per adeguarsi ai nuovi vincoli, bisogna decidere su quale tecnologisa andare. Renault ha scelto l'elettrico augurandoci che l'intero ecosistema coinvolto - infrastrutture e fornitori di energia, soprattutto rinnovabili - faccia la sua parte».

L'elettrico ha tre grandi problemi: le infrastrutture, la ricarica, l'autonomia: quale teme di più?
«Sul tema dei tempi di ricarica e dell'autonomia è chiaro che nell'orizzonte temporale di 4-5 anni avremo delle efficienze molto forti, ridurremo probabilmente del 50% i tempi attuali e a quel punto l'autonomia diventa un problema secondario. Il tema principale è quello della capillarità dei punti di ricarica: averne non solo tanti, ma ad alta velocità, oltre i 22kWh. C'è un dato allarmante in Italia: su 26mila colonnine di ricarica circa il 90% è a 22 kWh o inferiore. Con questo ritmo si fa fatica».

In questo la strategia di Renault è quella di passare dai volumi al valore. Come?
«Renault è uscita da una fase storica in cui i volumi sono stati il drive principale. Questo ha avuto delle conseguenze finanziarie perché ha portato alla proliferazione di stabilimenti produttivi con un break-even molto alto. La strategia punta ora sul valore per due ragioni: uno, preferiamo aumentare i profitti vendendo meno auto anziché perdere vendenone tante. Due, la strategia globale guarda anche a tutti quei servizi innovativi legati alla mobilità, alla gestione dei dati, alla fornitura di programmi che vanno oltre l'acquisto, come il car sharing. nei prossimi anni avranno una rilevanza molto forte sul fronte della profittabilità. Il futuro ribalterà il paradigma: si passa da una vettura, dunque hardware, con dei servizi dentro, ad un mondo fatto di servizi che utilizzano “anche” l'auto. In questo senso il volume di vendita in assoluto diventa meno rilevante».


Si affacciano nomi nuovi nell'automotive, da Apple a Uber o Amazon. Li teme? Pensa che saranno alternative credibili o che finiranno per lavorare insieme ai costruttori?
«Io credo che convivranno le due possibilità. Ci saranno senz'altro integrazioni tra player automotive e digitali, ma sono altrettanto convinto che entreranno nel mercato anche player digitali “stand alone”. Entreranno con tutte le loro competenze, soprattutto nella gestione sofisticatissima dei dati, altro tema cruciale. Da una parte avremo dei player della Silicon Valley, dall'altra delle società automotive che in Cina sono specializzate sull'elettrico e che proveranno a loro volta ad entrare. In questa potenziale morsa qual è il ruolo di una Casa “tradizionale”? Quello di continuare a raccontare una storia e dei valori che altri non anno, continuare ad avere un'identità che al di là dei prodotti e dei servizi che consente di avvicinarsi al cliente. La nostra storia è sempre stata quella di un'azienda molto attenta ai valori umani, molto “latina”, che ha fatto innovazioni rivoluzionarie nel mondo dell'auto. Ci piace raccontare la storia di un'azienda che avvicina le persone, non i luoghi. Sì tecnologia e innovazione, ma tanta identità specifica nel relazionarci con gli esseri umani. Questo ci metterà al riparo da una morsa che rischia di ssere molto molto stretta».


L'Alleanza - Renault, Mitsubishi, Nissan - ha trovato nuova linfa. Quanto conta nei vostri progetti?
«E' vero, l'Alleanza aveva perso un po' di ritmo negli ultimi anni. Ma quanto è stato detto sugli investimenti nei prossimi cinque anni, 23 miliardi con 35 modelli su piattaforme comuni è un segnale che da una parte si cominciano a vedere i risultati delle snergie dall'altra una volontà molto forte e precisa come mai c'è stata in passato. Un enorme segnale di fiducia».