AUTOMOTIVE

Fenomeno Dacia, quando il brand è «essenziale»

Aldo Tagliaferro

Il caso: nuovo look, vendite in forte crescita Così quello che fu «low cost» è diventato smart

Quella di Dacia è una storia da studiare. Un caso scolastico di valorizzazione di un brand - tra l’altro in un set-
tore complesso e finanziariamente oneroso come quello dell’automotive - che ha pochi eguali. A una ventina d’anni dall’ingresso della Casa rumena nell’universo Renault (l’acquisizione risale al 1999, ma bisognerà aspettare i primi anni 2000 per l’inizio effettivo del nuovo corso) Dacia è un brand riconosciuto in tutta Europa e in Africa, capace di produrre oltre 700mila vetture l’anno e di aumentare fatturato e margini proprio mentre il mondo delle quattro ruote è sul pericoloso piano inclinato della transizione ecologica.

La formula è semplice e geniale: sfruttando il “banco organi” di un grande Gruppo come Renault con piattaforme condivise e riducendo i modelli al concetto di essenzialità, Dacia ha sfornato vetture di qualità, senza inutili fronzoli, con un prezzo che oseremmo dire basso visti i listini che circolano ma che nella sostanza è meglio definire corretto. In un mondo che cambia così rapidamente la ricetta «low cost» (espressione che oggi viene guardata con sdegno, dal settore aereo fino ai supermercati…) ha saputo adeguarsi e oggi - come spiega Guido Tocci, managing director di Dacia in Italia - «la missione di Dacia nel Gruppo è guidata da ciò che è essenziale, che è un concetto dinamico nel senso che può cambiare». Lo dimostrano l’adozione del nuovo logo, bello e moderno, che da metà 2022 sta cambiando volto alle concessionarie e ai modelli (già 37mila quelli ordinati col “vestito” nuovo) ma anche l’ambizione di entrare nel segmento C, cuore del mercato europeo con Bigster nel 2025 e un altro modello entro il 2030, portando l’esperienza delle best seller Sandero e Duster.

Ma se il legame con Renault parte da lontano, la storia di oggi va letta attraverso la lente della «Renaulution» che il Ceo Luca De Meo lanciò nel gennaio 2021: la formula magica del passaggio «dal volume al valore» prevede un ruolo preciso per Dacia (che utilizza know how e ricerca di Renault per e pezzi e progetti già ammortizzati). Ma Dacia oggi fa molto di più perché riesce ad aumentare sia valore che volumi. Snoccioliamo qualche dato che fa impressione in tempi bui: in Italia il mercato scende del 10%? Dacia sale del 9% e si prende il 5,1% di quota di mercato, mai così alta (per dire: nel 2008 era lo 0,4%…). Il mercato privati è in flessione del 16%? Dacia sale del 12% (market share dell’8,3%) con Sandero che si toglie la soddisfazione di essere la straniera più venduta. E in Europa la musica non cambia: la quota nel 2022 è salita al 4,8% con un robusto trend di crescita.

Dietro al nuovo logo stilizzato che sta cambiando il volto delle 86 concessionarie italiane - tutte in comunione con Renault - anche in chiave ecologica con l’utilizzo di materiali ciclati per gli arredi e brochure solo via qr code, c’è una politica di prezzi attenta: listini semplici, corretti e senza sconti. Risultato: il valore residuo medio della gamma (calcolato a 36 mesi con 15mila km/anno) è salito dal 2021 di 3 punti, dal 47 al 50%. Tocci si toglie anche un sassolino: «Dacia sta dimostrando che un’auto non si svaluta il minuto dopo l’acquisto», una frecciatina ad anni di politiche fatte di sconti irreali o di km zero che hanno drogato il mercato.

Tutto bene, dunque? I dubbi sul futuro potrebbero sorgere, semmai, guardando alla strada obbligata dell’elettrificazione: riuscirà Dacia a mantenere prezzi adeguati (le zero emissioni sono più costose), a non entrare in concorrenza con Renault e a garantire un valore residuo alto avvicinandosi al fatidico 2035 che manderà in soffitta i motori endotermici? Tocci taglia corto, riprendendo il pensiero del Ceo di Dacia Denis le Vot e dimostrando una visione molto realistica del mercato: «venderemo motori tradizionali fino al 31 dicembre 2034», Quanto agli altri due temi, «la conversione e i costi del full electric non sono una priorità in questo momento» e sulla concorrenza interna Tocci si limita a ricordare il consiglio che gli diede De Meo: «Non fare Renault, fai Dacia. Perché Renault c’è già». Insomma, l’accoppiata funziona e ognuno conosce perfettamente i propri ruoli.

Ma in realtà un paio di assi nella manica Dacia li ha già: uno è l’elettrificazione in chiave ibrida, si comincia con Jogger, ormai pronta all’ingresso sul mercato. L’altro si chiama Gpl: con i suoi modelli bifuel Dacia è leader di mercato in Italia con una quota del 36%. La motorizzazione ECO-G 100 è la più scelta con un mix di vendita che sfiora il 70%. E in chiave Euro7, Dacia sta già mettendo a punto una soluzione Gpl, magari con cambio automatico, che si preannuncia molto interessante. C’è poi un altro pilastro che regge le sorti di Dacia e da cui oggi non si può prescindere: il digitale. A dimostrarlo sono lì diversi strumenti, dal whatsapp enterprise per contattare la concessionaria alla nuova app «aumentata» per scoprire le vetture, fino al new car inventory, sistema digitale per vedere le vetture in pronta consegna in Italia.

E soprattutto c’è un filo comune preciso che ha portato il «low cost» a essere «smart»: fare tutto all’insegna dell’essenzialità.