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Il ritorno del Salone di Ginevra. E parecchi dubbi
La buona, buonissima notizia, per il mondo dell'automotive alla ricerca di un nuovo centro di gravità permanente, è il ritorno - a fine mese - del Salone di Ginevra. Per trovare l'ultima edizione dobbiamo andare al decennio scorso, 2019, quando ancora non sapevamo cosa fosse il Covid e la scommessa elettrica pareva un azzardo visionario.
Fu proprio il Covid, febbraio 2020, a madare all'aria il salone più importante d'Europa a pochi giorni dall'apertura. Da allora, il buio. Le prime luci si sono riaccese in Medio Oriente, perché lo scorso autunno il Gims (Geneva International Motor Show) ha tenuto la sua prima edizione in Qatar, segno dei tempi che cambiano ma anche di una ricerca affannosa di una nuova dimensione.
Fatto sta che il 27 febbraio si aprirà un'edizione sbandierata come una rivoluzione dei contenuti, come è già avvenuto ad esempio a Francoforte e Tokyo. Ovvero: le case automobilistiche non spendono più milioni di dollari per stand luccicanti su auto sotto i veli (gli svelamenti viaggiano ormai in rete in modo più economico e più efficiente) e quindi i saloni diventano snodi di discussione della nuova mobilità e passerella per episodi di contorno (auto estreme, laboratori di design, mobilità urbana e soprattutto green).
Scorrendo la lista degli espositori l'utente medio riconoscerà sì e no tre o quattro brand - su tutti Renault e Dacia, le star di Ginevra 2024 - mentre potrebbe faticare a raccapezzarsi fra nomi che celano colossi rigorosamente cinesi, da Byd a Cherry a Saic e Geely.
Ecco, i quesiti che sorgono spontanei sono due: se i Saloni come li conoscevamo sono morti e sepolti, si può davvero pensare che queste nuove formule di piattaforme “live” siano sostenibili economicamente e abbiano un senso per l'automotive?
Il secondo dubbio: non è che a forza di snobbare le vetrine lasciamo il monopolio ai cinesi (per i quali qualcuno comincia a chiedere - forse non a torto - di dazi)? Fra un mese avremo una risposta, ma la sensazione è che non ci piacerà.