CONTROMANO

Stellantis, Filosa e due o tre cose che non tornano

Aldo Tagliaferro

La nomina di Antonio Filosa ad amministratore delegato di Stellantis è stata accolta da un vigoroso rigurgito di nazionalismo. Suggestiva l’idea che un italiano che si è fatto le ossa con una lunga gavetta all'interno del Gruppo arrivi al vertice ma andiamoci piano con gli entusiasmi: la nazionalità - di per sé - non significa nulla, anche perché al timone di un colosso che opera in tre continenti serve una visione ampia, molto ampia. E considerare come priorità il rilancio dell’industria automobilistica italiana nella galassia Stellantis sarebbe semplicemente miope. Non solo: l'incarico - estremamente rischioso - ha l’avallo dei soci francesi, lo Stato in primis, che forse non hanno voluto “bruciare” un big e terranno sotto stretta osservazione Filosa a cui spetteranno compiti ingrati nel prossimo futuro.
Ma i dubbi non finiscono qui. Intanto Stellantis ha impiegato sei mesi - un’eternità - per arrivare a una nomina che aveva già in casa: evidentemente sono state battute altre strade, ma nessuna ha funzionato. Dunque, una scelta di ripiego. E non è casuale che John Elkann mantenga la presidenza esecutiva, come dire che Filosa comanderà, ma fino a lì. E se qualche big ha detto no alle lusinghe di Stellantis non stupisce: il Gruppo è in difficoltà dopo anni di grandi remunerazioni per gli azionisti ma di tagli feroci dei costi e della produzione, una filosofia che Tavares ha portato avanti con il benestare del Cda. Il mercato americano è in profonda crisi, Tavares ha depauperizzato Jeep e RAM, il nodo dei dazi incombe, le scelte industriali europee discutibili vedono Stellantis indietro sull’elettrico e spiazzata sui motori endotermici di grandi dimensioni destinati ai sistemi ibridi. Per fortuna Filosa è un “car guy”: c’è bisogno di un manager che abbia esperienza del settore.
Però era un «car guy» anche Tavares, mentre il miglior manager che si sia mai visto a Torino, Sergio Marchionne, non proveniva dal settore…