Genesis, il cinquantesimo di "Nursery Cryme"

Michele Ceparano

In questo 2021 compirà cinquant'anni, essendo uscito nel novembre del 1971, il terzo album in studio dei Genesis. “Nursery cryme”, con cui questa rubrica apre il nuovo anno, però non è “solo” un disco. E', infatti, prima di tutto, un gioco di parole - uno dei tanti a cui Peter Gabriel e soci, facilitati dalla lingua inglese che si presta perfettamente - che allude da una parte alle filastrocche del mondo anglosassone (nursery rhymes) e dall'altra  al crimine del brano d'apertura, la suite “The musical box”. 

Un pezzo monumentale e una favola nera in cui la giovane Cynthia decapita il suo amichetto Henry con una mazza da croquet. Un brano che si snoda tra atmosfere che risentono dell'influenza di Lewis Carroll (l'autore di “Alice nel paese delle meraviglie” è molto amato dalla band inglese) e Oscar Wilde.

E questo, si potrebbe dire, è solo l'inizio di un album che, oltre ai disegni di copertina - una storia nella storia piena di allusioni e riferimenti - di Paul Whitehead, per gli appassionati di progressive e, in particolare, dei Genesis, rappresenta, come scrive Giovanni De Liso nel suo insostituibile “Behind the lines”, “un eccellente manifesto del rock progressivo inglese”.

In realtà, il 1971 sarà un anno d'oro per tutto il prog dal momento che verranno pubblicate alcune pietre miliari di cui questa rubrica quest'anno si occuperà: da “Aqualung” dei Jethro Tull, a “Fragile” degli Yes, da “Pawn Hearts” dei Van der Graaf Generator a “Tarkus” degli Emerson, Lake & Palmer. Del '71, inoltre, è anche “Meddle” dei Pink Floyd. Tutti album leggendari.

“The musical box” è un pezzo impressionante dall'inizio alla fine e particolarmente riuscita dal vivo in “Seconds out” sarà proprio la “closing section”, affidata dalla voce di Phil Collins. Qui alla voce del batterista viene affidato, come capiterà due anni dopo con “More fool me” da “Selling England by  the pound”, il pezzo autunnale e bucolico “For absent friends”, scritto dallo stesso  Collins e da Steve Hackett. Un momento per fermarsi un attimo - come avverrà in “After the ordeal” sempre in “Selling England by the pound”, dopo “The battle of Epping forest” -, quasi tirare il fiato dopo le emozioni e i cambi di ritmo a catena di “The musical box”. Una dolcezza che durerà comunque poco perché l'album riparte vertiginosamente con “The return of the Giant Hogweed”, più un racconto di fantascienza che un brano. Protagonista della canzone, che sconfina in scenari apocalittici, è la panace di Mantegazzi (nome scientifico Heracleum Mantegazziani), una pianta velenosa con cui si presentò davvero un fan della band, a un loro concerto ad Aylesbury.

Se il lato A è incredibile, il B non è da meno. In “Seven stones”, racconto a episodi in cui il vecchio protagonista tratteggia la sua concezione della vita, qualcuno ha visto echeggiare “The rime of the ancient mariner” di Coleridge, mentre “Harold the barrel” è un brano in forma di notiziario tv sulla scomparsa di un noto ristoratore di Bognor, città del Sud dell'Inghilterra. Ritmo incalzante e battute fulminanti come quando la madre di Harold, con lui che minaccia di buttarsi nel vuoto, gli dice: “La tua camicia è tutta sporca e qui c'è uno della Bbc”. Sempre De Liso ha descritto la successiva “Harlequin” come “un vero e proprio dipinto in musica” il cui testo “ricorda certi paesaggi riprodotti dagli impressionisti”. “The fountain of salmacis”, invece, è ispirato al personaggio di Ermafrodito,  dalle Metamorfosi di Ovidio. Mitologia fa infatti spesso rima con progressive rock e i Genesis spesso si fanno ispirare dai miti greci e latini. Due esempi sono in “How dare I be so beautiful?” in “Supper's ready”, altro capolavoro del '72, l'album della maturità della band, e “The cinema show” in “Selling England by the pound”, a giudizio di chi scrive il loro lavoro più bello.  "The musical box" e  "The return of the Giant Hogweed" verranno inserite dalla band in "Genesis live", uscito nel luglio del 1973.