"Stormwatch" dei Jethro Tull. Quarant'anni fa l'inverno stava già arrivando
di Michele Ceparano
“Il disco” chiude l'anno con i Jethro Tull, la band capitanata da Ian Anderson che la settimana scorsa si è esibito a Parma nella chiesa di San Vitale, in via della Repubblica. E lo fa con un album che in questo 2019 ha spento quaranta candeline. Si tratta di “Stormwatch”, un concept album e il dodicesimo lavoro in studio del gruppo britannico che è considerato l'ultimo capitolo di una trilogia di folk rock iniziata con “Song from the wood” e proseguita con “Heavy horses”. Leit motiv del lavoro uscito nel 1979 è il rapporto tra l'uomo e la natura da cui traspare molto più di una vena di pessimismo. Quarant'anni prima di “Greta e i suoi fratelli” c'era dunque gente come i Jethro Tull che denunciava già l'emergenza ambientale. Inascoltata, allora come oggi, ma almeno a quei tempi la band lo faceva in versi e musica sfornando un racconto in cui l'uomo è descritto come totalmente teso al suo interesse personale a discapito di quello dell'ambiente. Ma guarda un po'... Già la copertina, una delle tante meravigliose dei Jethro Tull, è più che mai eloquente: raffigura infatti Anderson che guarda una tempesta in arrivo con il binocolo, da cui il titolo “Stormwatch”. Magari non è al livello di capolavori come “Aqualung”, “Thick as a brick” o “A passion play” ma resta comunque un grandissimo album.
Il disco è ambizioso e riuscito fino dall'apertura “North sea oil” che descrive il desiderio di ricchezza da sempre in testa agli obiettivi dell'industria del petrolio. Anderson è più che mai sensibile a questo tema essendo scozzese e dal momento che la Scozia si affaccia sul Mare del Nord. Altro brano interessantissimo è “Dark ages” in cui non solo si fa intendere che l'inverno sta arrivando, ripetuto come un mantra e un avvertimento anche dallo scrittore G.R.R. Martin dai cui libri è stata tratta la fortunata serie tv “Il trono di spade”. Un'affermazione entrata ormai nel parlato. Ma si punta anche il dito sul fatto che le persone, come appunto nei secoli bui del Medioevo, sembrano completamente disinteressate al loro destino. "Warm sporran", strumentale come "Elegy", richiama la borsetta che contiene il denaro, indossata dagli scozzesi insieme al kilt. Si tratta di un altro omaggio di Anderson alla sua terra. Il tema dell'inverno che incombe si trova anche in "Something's on the move" e "Old Ghosts". "Dun Ringill", località scozzese sull'isola di Skye, punta a un recupero della tradizione, forse l'unico antidoto agli anni di ferro che si approssimano. Così come "Kelpie", aggiunto insieme ad altri quattro brani nel bonus track dell'edizione del 2004, un pezzo sul demoniaco cavallo nero della tradizione celtica. Ma le atmosfere gotiche sono contenute anche in "Flying Dutchman", la mitica nave il cui comandante è condannato a navigare fino al giorno del giudizio e "King's Henry Madrigal", anche questa assente nella prima edizione e inserita in quella del venticinquennale. Si narra che sia stata scritta niente meno che, con il titolo di "Pastime with good company", da Enrico VIII. Ascoltarla (o riascoltarla) insieme a tutto l'album può essere, dunque, un bel modo per salutare questo 2019 preparandosi al 2020. E all'inverno che è già arrivato.
Da youtube Dark ages