Intervista
Cristiano De André: «Oggi Faber sarebbe depresso»
Dentro la mente di un’icona della musica italiana. Dentro quella sofferenza per il mondo in cui viviamo, che già in passato appariva pieno di ombre.
Il patrimonio artistico di Fabrizio De André torna a emozionare il pubblico del Teatro Regio di Parma, dove andrà in scena lunedì 1° dicembre alle 21 la prima data del nuovo tour realizzato dal figlio Cristiano De André. Sarà l’inizio di un ciclo invernale nei teatri italiani, parte del progetto ambizioso dedicato all’immenso repertorio del poeta ligure.
«De André canta De André best of tour teatrale» si inserisce nel lungo lavoro portato avanti dal figlio Cristiano, con quattro album dedicati e svariati concerti. Insieme ad Osvaldo di Dio, Davide Pezzin, Luciano Luisi e Ivano Zanotti, lo spettacolo al Regio, prodotto e organizzato da Trident Music, offre uno sguardo intimo e toccante della musica di Fabrizio De André, «scritta con l’ambizione di cambiare il mondo in meglio, ma senza successo, con un presente deludente», come racconta il cantautore Cristiano De André.
La prima data di questa stagione del tour sarà a Parma, al Teatro Regio. Quali sono le sue sensazioni tornando a cantare in questa importante cornice?
«Le emozioni che si provano in quel teatro sono uniche. Rappresenta un simbolo importantissimo della cultura. Ha delle caratteristiche acustiche costruite proprio per far sentire le melodie in ogni punto, in ogni anfratto dove la gente si siede. Genera stupore anche solo guardandolo quando è vuoto».
Cosa dobbiamo aspettarci dallo spettacolo?
«Mi concentro sull’opera salvifica di mio padre, in due ore e mezza di concerto, con il meglio del lavoro che stiamo facendo. Un’immersione totale nella musica e nei testi, grazie anche alle luci e all’atmosfera magica del teatro».
Qual è il messaggio principale di questi testi immortali?
«Raccontano la storia del nostro Paese. Lui era convinto davvero di riuscire a cambiare il mondo in meglio, quindi di avvicinare le persone tra di loro. Purtroppo questo non è successo e credo che guardare il presente di oggi lo renderebbe molto depresso, ancora di più di quanto non lo fosse già allora. C’è una mancanza di umanità, tra guerre e altri disastri».
«Amico fragile» è una delle canzoni di Fabrizio che descrive meglio quella sofferenza verso la società. Cosa la lega in particolare a questo brano?
«La scrisse scontrandosi con una società molto superficiale. Anche io oggi provo quelle sue sensazioni e ho questa solitudine dentro di me, che faccio fatica a descrivere bene. Come diceva mio padre, la solitudine non è qualcosa di negativo, perché può anche aiutarti ad essere una persona migliore se riesci a vivere bene con te stesso».
Papà cosa pensava del suo desiderio di intraprendere un percorso nella musica?
«Voleva che facessi altro, che studiassi Veterinaria per l’azienda agricola della famiglia in Sardegna. Nella musica aveva paura del confronto che avrei potuto subire con il suo grande nome. Per me è stato un percorso doloroso infatti, mi ci è voluto del tempo per costruirmi una protezione. Sono poi riuscito a convincere anche lui, mi ha capito».
Adesso lei vive in Sardegna. Come si trova in questa dimensione e cosa sta scrivendo?
«Sto bene, preferisco stare in mezzo alla natura e vedere le cose da fuori, poi ogni tanto torno in città a Genova. Sto continuando a scrivere e mi auguro di far uscire il mio nuovo album nel 2027».
Recentemente ha detto che oggi la musica non viene più scritta con il cuore. Quali sono le difficoltà principali?
«Scrivere con il cuore vuol dire non scrivere sotto la pressione discografica. Si è meno liberi di creare e ne risente non solo la musica, ma anche la cultura in generale. Io sono cresciuto in mezzo a grandi poeti come mio padre o Francesco De Gregori. Oggi c’è una carenza di temi».
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