"Non posso paragonare una pandemia mondiale con la Sla; purtroppo siamo dei numeri, e anche piuttosto bassi"
Caro Francesco,
mi piacerebbe dirti che ci conosciamo ma non è così. Ho letto di te e della tua storia grazie agli articoli apparsi in questi anni sulla Gazzetta di Parma. Prima ho tifato per la tua candidatura al premio S. Ilario e successivamente ho seguito la tua militanza nel continuare a sensibilizzarci con articoli di speranza e voglia di vivere.
Sei un ragazzo che non ha mai mollato e non so se ti piace essere chiamato ragazzo ma hai gli stessi anni di mio marito e io ti vedo giovane con tante possibilità da realizzare con la forza e la tenacia che contraddistingue tutti i ragazzi del ’68.
La mia domanda per te, che credo che sia poco corretta in questo periodo, è nel sapere come ci si sente a vedere tutta questa mobilitazione civile, medica e mediatica a favore di “tutti”, dimenticando che, in altro modo, ma non meno devastante, i “pochi” come te devono ancora sperare nell’interesse generale di una ricerca consapevole e di supporto alla tua malattia. Ecco Francesco, se io fossi in te sarei molto arrabbiato. Perché tu prima di tutti noi ti sei ammalato, hai dovuto a tuo malgrado isolarti, lavorare da casa, gestire la tua famiglia senza toccarla sapendo che la tua diagnosi ad oggi non permette immunizzazioni. Più di tutti noi avresti il diritto di pretendere ricerca costante, impegno continuativo e strutture dedicate allo studio e alla cura della tua malattia a prescindere dai numeri delle persone colpite da questo calvario. Invece tu Francesco non sei in collera e ci disarmi con la tua gentilezza. Quella che hai nel raccontare la tua storia che ci svela che si può vivere anche con un respiratore (che e non è una mascherina che ci dà fastidio), quella della tua lotta mai passiva al dolore e all'incertezza che ti permette di continuare a sorridere alla tua famiglia (e magari solo con gli occhi), quella gentilezza che risiede nelle tue parole di risposta alle nostre lettere che viaggiano forti e resilienti in un futuro di speranza che non fa distinzioni tra malati e malattie. Ciao Francesco, grazie per questa opportunità di dialogo così coinvolgente. Silvia
Gentilissima Silvia. Grazie del giovane, in effetti mi sento giovane. Come 16 anni fa quando mi sono ammalato. A 36 anni, e con una famiglia, non puoi lasciarti andare. Con due figlie da crescere non puoi permetterti di pensare ad altro. Arrabbiato? Sì e no, in questi anni mi sono abituato. Non posso paragonare una pandemia mondiale con la Sla; purtroppo siamo dei numeri, e anche piuttosto bassi. Il profitto viene sempre prima.
Francesco