I «Crimini esplosivi» di Danilo Coppe
Su una cosa, certamente, Danilo Coppe ha ragione: con questo libro si farà molti nemici. Alcuni nella tomba, come Garibaldi, non potranno rispondere, altri impegnati in politica forse sì. E’ stato lui stesso ad affermarlo in premessa, durante la presentazione del suo ultimo libro - «Crimini esplosivi», edizione Mursia, - nel piazzale antistante l’Euro Torri, ospite della libreria Mondadori.
«Lavorando a questo testo - ha scritto Coppe - sono giunto a fare diverse riflessioni che potranno permettere di riscrivere tante storie: eroismi che non lo sono stati, inesattezze storiche, innocenti colpevolizzati e colpevoli impuniti». L’ambiziosa operazione di Coppe viene elogiata nella prefazione da Luciano Garofano per il quale «I crimini che Coppe ricostruisce diventano uno straordinario laboratorio di riflessione». E’ lo stesso Coppe - intervistato dal generale degli Alpini Giuliano Ferrari - ad aprire il vaso di Pandora delle rivelazioni. Comincia con il ponte Morandi (che lui stesso ha demolito con la carica esplosiva per realizzare quello nuovo): «E’ stato un miracolo che sia rimasto in piedi così a lungo - ha affermato Coppe - prima di demolirlo abbiamo dovuto grattare un strato di 90 centimetri di asfalto, che pesa due tonnellate per metro cubo, e rimuovere 12 tonnellate di new jersey. E i tombini predisposti per la collocazione dell’eventuale esplosivo di emergenza erano pieni di 50 tonnellate d’acqua per ognuna delle quattro camere per ogni campata. Facile dedurre che la manutenzione (un asfalto sopra l’altro) è stata fatta per risparmiare tempo con conseguenze enormi sul peso della struttura, aggravata dal fatto che uno degli stralli conservava una funzionalità del 40%».
Dal Ponte Morandi (inquietanti le sue rivelazioni) è passato alla strage di Bologna, sulla quale ha consegnato la relazione alla Magistratura il 7 luglio 2019: «Ho avuto accesso a carte che i comuni mortali non possono vedere - ha detto Coppe - ho riscontrato che l’esplosivo non è quello indicato nelle precedenti perizie e mi pare che ci siano elementi tali da mettere in dubbio le conclusioni dei giudici sullo stragismo nero e sulla strategia della tensione, fondata su teoremi senza prove, che furono ritenuti sufficienti da giudici come Ferdinando Imposimato, che lo ha messo per iscritto». Tutto resterebbe da provare, secondo Coppe, così come l’aereo abbattuto a Ustica: «Non è stato un missile - ha affermato Coppe - ma l’esplosivo era presente nei servizi dell’aereo, quindi gli attentatori sono da ricercare altrove». Anche la strage della Banca dell’Agricoltura - secondo Coppe - pone molti interrogativi: «Se il direttore non avesse deciso di tenere aperto al pomeriggio non sarebbe morto nessuno - ha detto - e mal si concilia con la pista nera il fatto che altre bombe siano scoppiate lo stesso giorno al Museo del Risorgimento e all’Altare della Patria, simboli - a suo dire - più cari alla destra che alla sinistra. In quei tempi - ha adombrato Coppe - c’era il terrorismo libico con il bombarolo Carlos al soldo di Gheddafi, c’erano Fedayn, e c’erano gli anarchici che facevano attentati dimostrativi».
Nel libro di Coppe ce n’è anche per Garibaldi: «Come ha fatto un esercito di mille uomini fra detenuti condonati e briganti in fuga a sbaragliare l’esercito borbonico di 70.000 uomini? Con la corruzione», risponde Coppe - come avrebbero dimostrato le carte di Ippolito Nievo, tesoriere della spedizione, che le racchiuse in 7 casse da consegnare al re, ma che non arrivarono mai, perché la nave affondò per una mina nei fondali di Ustica. «Insomma - è l’amara conclusione di Coppe nella sua personale riscrittura della storia - il revisionismo è necessario in un Paese in cui, in nome dei teoremi, si presta credito a Giovanni Brusca (11 mesi di galera per ogni omicidio) e a Angelo Izzo, massacratore del Circeo, che ha fatto il bis grazie ai permessi premio previsti dalla legge Gozzini, anziché basarsi su prove scientifiche e riscontri oggettivi».