Da Parma a Londra: «Il mondo dei sogni nato da una stampante 3D»

Roberto Longoni

Uno zero virgola niente di bilirubina in eccesso, e gli fu detto no in Accademia. «Fa niente - pensò lui -  nel Ris entrerò con la laurea  in Biotecnologie». Uno collage  di schizzi portato un paio di anni dopo  nel negozio di un fotografo per farne una stampa, e gli fu detto sì a una domanda mai fatta. «Uno così in gamba con Photoshop io lo  assumerei subito» esclamò il tizio al bancone. Assunzione, stipendio? Da sempre convinto che con le passioni non si potesse campare, lui uscì esterrefatto. Chi non crede nel caso, può dire che quel lavoro fatto con Photoshop fosse parte di un altro disegno, imperscrutabile. Perché da allora Giovanni Panico, studiando, si ritrovò a rimpiangere il tempo rubato al disegno e disegnando a sentirsi in colpa per le ore tolte ai libri di Biotecnologia. I rimpianti sono finiti da quel dì: ha vinto  il cuore (certo, spalleggiato  da una buona dose di cervello).

La laurea in Biotecnologie è finita in un cassetto, con il proposito di indossare il camice del  carabiniere del Ris: Panico, 34 anni, diventato illustratore e modellatore 3D nella sua Parma, ha spiccato il volo per Londra. Ora lavora con l'architetto-guru francese Arthur Mamou-Mani (il padre del tempio Galaxia realizzato per il Burning Man del Black Rock City Festival  2018, tanto per intendersi); dalle sue mani escono pezzi da esposizione per Dassault, Lego, Louis Vuitton, Fortnum & Mason. Nel maggio del 2018, «Nature» ha messo in copertina la sua riproduzione in 3D del tumore al colon. Nello stesso periodo, a Shangai, per una celebrazione dell'amicizia Italia-Cina, sono stati esposti i suoi modellini-replica di capolavori di casa nostra. Vive oltre confine un po' in tutti i sensi, a Londra e in un mondo per i più di là da venire. Ed è portabandiera di Parma nel progetto «Emilia-Romagna Andata e ritorno» studiato dagli Spazi Area S3 di Art-Er con il patrocinio della Regione per «offrire spunti di orientamento per giovani e far conoscere storie di successo di talenti». Domani alle 17 si racconterà su Zoom.


Al ritorno, lui e Silvia Martini (la ragazza diventata sua moglie alla quale aveva dedicato il famigerato disegno) hanno cominciato a pensare dalla nascita del figlio Riccardo, un anno e mezzo fa. Ma è un'idea non a brevissima scadenza. «Londra - ammette - è una rampa di lancio incredibile». Troppo presto per abbandonarla. L'andata sembra ieri, anche se ha portato lontano come era difficile immaginare. Solo Silvia era sbarcata in Inghilterra con qualcosa di certo. Diventata biomedica, dopo la laurea in Biotecnologie, le era stata offerta una borsa di studio da un laboratorio londinese. «Accettammo - ricorda Panico -. In Italia, lo stato della ricerca è noto a tutti». Classico cervello in fuga, Silvia Martini, un passato anche da cestista professionista,  è poi stata assunta. Giovanni, invece, aveva deciso con lei di partire nel 2017, ma senza sapere bene che cosa avrebbe fatto. Mentre a Parma un lavoro l'aveva avviato, come gli era stato predetto quel giorno.

 «Avevo cominciato facendo copertine per libri. Poi, stanco degli studi prospettici, mi ero dedicato al 3D e quindi ai giochi da tavolo». Ti pagano e ti danno il gioco gratis: puoi volere di più? Ma un desiderio lui ce l'ha:    portare nel mondo reale quanto ha creato al computer. Da illustratore decide di diventare «scultore». La stampa 3D si è appena aperta al mercato, e Giovanni scopre che Leonardo Barbarini, Pietro Dioni e Rossella Lombardozzi hanno una stampante 3D alle Officine On/Off. Appena il tempo di conoscersi: Panico entra in squadra e tre giorni dopo  è al Mecspe, la Fiera della meccanica di Parma, a mostrare come si  stampa in 3D. «Il FabLab Parma nacque  allora, prima di avere uno spazio». Scatta la rincorsa alle  convention. Giovanni viaggia e dorme sul vecchio camper di famiglia. Non ha un portatile, ma un «traslocabile»: il pc di casa che smonta e reinstalla ogni volta, tra l'altro con due schermi.


«Un periodo con gente fantastica. Forte della sinergia con Officine On/Off e con il Gruppo scuola di Alessandro Catellani, il Parma FabLap è cresciuto in fretta». Protesi, giocattoli, gioielleria: i pionieri parmigiani della stampa in 3D si dimostrano in grado di produrre di tutto. E dopo un anno e mezzo ricevono fondi per pagarsi finalmente uno spazio e acquistare costosi macchinari. Quando Panico comincia a far coincidere l'entusiasmo con il reddito, il salto oltre la Manica. Potrebbe essere un salto nel vuoto, ma il lavoro arriva presto. «Mi ha assunto un'azienda di moda che voleva visualizzati i modelli in 3D, in tutte le taglie. Lo stipendio era buono, ma dopo un anno avevo smesso di crescere: mi licenziai».      

Memore della passione condivisa con gli amici parmigiani, cerca un FabLab a Londra. Trova invece il FabPub fondato da  Mamou-Mani per coprire la parte «realizzativa» del proprio studio di progettazione. È lo stesso architetto 38enne a rispondere alla mail dell'italiano piovuto da chissà dove: «Vieni, conosciamoci». Il primo incontro dura tre ore. Dopo un giorno in part-time, Panico è assunto a tempo pieno. Per un anno è solo lui al FabPub, in uno spazio di 2 metri per 4. «Ora siamo in quattro, in un hangar di 6 metri per 36». Qui nasce Aurora, un'installazione gigantesca, in sospensione, per la Dassault. Con i suoi 500 pezzi vuole significare  che non esiste una soluzione unica per l'ecosostenibilità. Anche nella sostanza è coerente. «L'abbiamo stampata usando 1,8 tonnellate di plastica Pla ottenuta dalla canna da zucchero: con la plastica tradizionale, avremmo prodotto 8 tonnellate di CO2 in più».  Ben più leggeri i lavori per la Lego. «Mi hanno chiesto 10 pezzi in due settimane: già di stampa erano 250 ore di lavoro. Una corsa».


Certo, la Pla non è «eterna», ma è uno dei suoi pregi: biodegradabile, facile da riutilizzare. «Ne parliamo con i clienti, condividiamo con loro l'esigenza dell'ecosostenibilità: è sempre più un linguaggio comune». Condivisione è una parola d'ordine al FabPub, dove Giovanni, il manager, a sua volta pulisce in terra come gli altri. E come gli altri si sporca le mani. «È il bello di questo lavoro: anche gli architetti in studio con Arthur devono farlo. Il contatto con le cose reali è fondamentale». E il contatto con le radici rimane? «Certo, e poi sono solo  due ore d'aereo. Nel quotidiano - spiega Giovanni, che a Parma ha il padre Carmelo, avvocato, la madre Margherita, ex insegnante di francese a Romagnosi e Marconi, e il fratello Valerio, responsabile della sicurezza della E80 di Viano - a mancarci  sono soprattutto le connessioni: famiglia, amici...». Problemi con gli inglesi dopo gli Europei? «No, un po' perché a Londra non sempre sono in maggioranza.  E poi  qui sanno che né io né Silvia amiamo il calcio. Anche se il tifo per l'Italia l'abbiamo fatto: avesse vinto l'Inghilterra, chissà che notte insonne per il piccolo Riccardo».