INTERVENTO

Nuovo stadio, grande opportunità ma pensiamo alla Parma del futuro

Francesco Canali

Da qualche tempo Parma si sta confrontando con una fantastica idea: un nuovo stadio di calcio.
È una straordinaria opportunità: l'esistenza di una squadra fascinosa, un forte investitore, cittadini appassionati, la possibilità di disporre di una infrastruttura adatta anche per altri eventi; tutti spunti felici. Una opportunità che però, come sempre, per essere colta ha bisogno di persone all'altezza.
Servono allora anzitutto lucidità di giudizio e forza di carattere, per esaminare con chiarezza la situazione e poi per agire. Da cittadino, provo allora a mettere in fila alcuni pensieri ed a proporli all'attenzione di tutti, per mettere alla prova le nostre parmigianissime forza d'animo e lucidità. Riassumo i pensieri numerandoli, per provare ad essere chiaro.


1) Anzitutto, non si può dire che la attuale Amministrazione stia operando in assenza di programmazione urbanistica: dal dopoguerra, non esiste infatti piano regolatore che non confermi l'area del Tardini come quella per tale funzione. Nessuna delle Amministrazioni succedutesi ha mai immaginato altrove lo stadio di calcio. Non quella attuale, ma nemmeno quelle del passato: né quelle che hanno spostato impianti sportivi famosi (i vecchi stadi del rugby e del baseball), né quelle che hanno consentito la ristrutturazione del Tardini quando il Parma fu promosso in serie A, né quelle cresciute nel dirigismo programmatorio della sinistra degli anni ’60 e ’70.
2) Il punto è, in realtà, proprio questo: la prospettiva di mantenere lo stadio cittadino nella posizione del Tardini appartiene al passato. A quando la sua dislocazione risultava periferica e non, come oggi, centrale, inglobata in un fitto tessuto residenziale e di servizi ed in posizione cruciale nella dinamica del traffico veicolare urbano. Era la prospettiva di chi, affacciandosi a strada Torelli dal Petitot, incrociava con lo sguardo i campi coltivati, fra i quali sorgeva il solo Centro lattiero caseario.
3) C'è poi il tema dell'ordine pubblico, diventato oggi pervasivo durante lo svolgimento di ogni manifestazione. Più ancora della periodica militarizzazione dell'area, l'aspetto più desolante del fatto è che un ampio settore della città, da via Zarotto a viale Duca Alessandro, si trasforma durante l'apertura del Tardini in un disordinato e poco frequentabile retrobottega. I tifosi parmigiani lasciano la bicicletta nel piazzale del Petitot, per loro sgomberato da carabinieri e vigili urbani: ma la parte di città che non vedono, quella a sud, viene riempita di gabbie, corriere ed autobus parcheggiati in doppia fila, transenne, presidi delle forze dell'ordine, montagne di lattine e bottiglie gettate dai tifosi ospiti.


4) L’inadeguatezza dell’oggi diventa poi miseria grottesca, se ci si immagina lo scenario futuro: un’infrastruttura in grado di presentarsi con efficienza sulla ribalta internazionale, adeguata a frequenti (2 o 3 volte alla settimana, tutto l'anno) flussi di traffico provenienti anche da città lontane, associata allo svolgimento di altre attività, commerciali e di spettacolo, che consentano di ottimizzare l'investimento.
5) E poi vi sono i rischi. Quanto sia complessa la rete di relazioni economiche e sociali che avvolge lo sport professionistico, i parmigiani lo hanno sperimentato sulla propria pelle. Ed è ancora più complesso di come ci si immagini: se il progetto di Superlega dei club più prestigiosi d'Europa dovesse tornare di moda, quali prospettive per una società come il Parma? La gestione dei diritti televisivi è stata stravolta dalle ultime aggiudicazioni alle compagnie di broadcasting: cosa succederà alle società calcistiche minori nei prossimi anni? Rischi concreti: dalle conseguenze più difficili da valutare di quanto non si creda, alle implicazioni delle quali non si deve vincolare per 90 anni un pezzo vitale del tessuto della nostra città.
Esercitato il senso critico, è necessario far ricorso ora ad un'altra qualità parmigiana: la forza d'animo. Perché una ipotesi insperabile fino a qualche anno fa (un forte investitore disposto a sostenere i crociati) sta per diventare realtà e dobbiamo saperla concretizzare con responsabilità. È necessario quindi effettuare le scelte giuste prendendo atto dei cambiamenti sopravvenuti negli ultimi 100 anni e guardando alla Parma che sarà: senza adeguarsi, per inerzia urbanistica, al punto di vista che era corretto quattro generazioni fa. Ed allora non resta che sperare che la fortuna di appartenere ad una città viva, ricca di intelligenza e di mezzi; con un bellissimo e sano spirito critico e nella quale la catena di trasmissione dei pensieri fra cittadini ed amministratori è abbastanza corta, possa far capire, a chi ne ha la responsabilità amministrativa, l’importanza della sfida che Parma ha davanti. E possa farla vincere. Vi sono alternative possibili e migliori, tutte improntate ad uno spostamento dello stadio in una zona più indicata, ma non più scomoda, ed al riutilizzo dell'attuale area del Tardini per diverse e più adeguate destinazioni sportive, con costi paragonabili e una più certa programmazione temporale della trasformazione della città. Che garantisca anche maggior resilienza nei confronti delle vicissitudini del complesso mondo dello sport professionistico e delle sue correlazioni economiche.


È una responsabilità grossa quella che gli amministratori, di oggi e di domani, devono affrontare in questo frangente ed è tale da richiedere tutta la loro qualità. Sottraendo l'approfondimento al dibattito partigiano (la febbre del “tifo” obnubila), ma sviluppandolo con tutta la cura, l'intelligenza ed il sapere che hanno fatto sì che Parma progredisse nei secoli, da piazza Duomo alla chiusura dell'anello delle tangenziali. La vera partita da giocare è quella di evitare che un terzo dell'area sud della città si ritrovi devastato da un oggetto abnorme, funzionalmente e spazialmente, assecondato da amministratori disorientati di fronte alla complessità del tema e che hanno smarrito la loro sapida lucidità parmigiana. Un'enorme pentola di tortelli d'erbetta, scolati e serviti tutti insieme a formare un gran “taclone": senza l'intelligenza del burro e del parmigiano. All'americana.

Francesco Canali
Ingegnere, Studio Canali