C'ERA UNA VOLTA
Vincenzine, cuori ricolmi di altruismo
Gli over anta ricorderanno sicuramente i mezzi della Polizia (la famosa «Celere»), jeeps e blindati, disposti in lunghe file in Borgo Riccio davanti e nei pressi della Caserma «A Paoloemilio» delle guardie di Pubblica Sicurezza. Erano gli anni sessanta e la città era scossa da forti disordini tra opposte fazioni politiche che avvenivano in Piazza Garibaldi e borghi limitrofi.
Comunque, il palazzo dell’ex caserma della Polizia di Stato, in funzione fino alla seconda metà del 2000 anche per lo svolgimento di funzioni pubbliche, nacque assolvendo a ben altre funzioni.
Infatti, il suo esordio in Borgo delle Rane (attuale Borgo Riccio), avvenne nel 1760 con la denominazione di «Casa di Educazione di San Vincenzo De’ Paoli», gestita dalle suore Figlie della carità di San Vincenzo De’ Paoli, chiamate comunemente «vincenzine» ma che i parmigiani battezzarono da subito «sóri caplón'ni» per via del loro copricapo inamidato che le faceva apparire simili alle dame dipinte dai pittori fiamminghi.
In origine, queste suore, indossavano abiti secolari, ma , dopo qualche anno, anche a loro fu assegnata l' «uniforme» con quello svolazzante copricapo a larghe tese tipo la «cornetta» in uso tra le contadine francesi. La fondazione della «Casa di Educazione di San Vincenzo De’ Paoli», detta «Conservatorio delle Vincenzine» come è riportato nella pubblicazione redatta dallo storico Gino Trombi (1963), risale alla prima metà del XVIII° secolo ed è opera di un gruppo di sacerdoti e di laici «soliti riunirsi nella sagrastia della chiesa parrocchiale di San Bartolomeo».
Gli stessi costituivano la «Congregazione della Carità di San Vincenzo De’ Paoli» che era composta da una quarantina tra ecclesiastici e secolari.
Per farne parte e dedicarsi poi alle prescritte opere di carità occorreva ottenere l’approvazione nominale dei confratelli e compiere un certo periodo di noviziato sotto la guida di un maestro anziano. Durante la presidenza del Rettore della Parrocchia di San Bartolomeo don Giulio Peroni, i congregati, il 10 agosto 1741, decisero di raccogliere un certo numero di fanciulle «che andavano questuando con pericolo loro e scandalo altrui» e di «affidarne la custodia e l’educazione a qualche onesta donna della città».
Sul finire del 1743 le fanciulle vennero invece riunite in una Casa presa in affitto ed affidate alla cura di una Maestra «donna prudente e discreta con alcune regole pel necessario educamento».
Nel 1760 le ragazze (chiamate a quei tempi «zitelle») furono definitivamente ospitate nello stabile di Borgo delle Rane al civico 9 nella vicinia di San Quintino per la beneficenza di tale Giovanni Matavelli, un negoziante di sete, milanese, da molti anni residente a Parma che, nel suo testamento, lasciò all’ospizio una ingente somma di denaro. L’ospizio iniziò ospitando 10-15 ragazze ed è curioso notare come fra i compiti della Congregazione ci fosse anche quello di concedere l’autorizzazione agli sponsali delle «zitelle», ospiti del Convitto, dopo avere attentamente proceduto all’esame delle informazioni sul pretendente alla loro mano.
Nella prima costituzione per il «Buon regolamento delle Zitelle della Casa di Educazione San Vincenzo De’ Paoli» del 21 febbraio 1793, è minuziosamente codificata la vita delle assistite che dovevano «innanzi tutto condurre una vita irreprensibile sotto ogni aspetto». Com’erano severamente puniti atteggiamenti violenti qualora qualche ragazza fosse venuta alla mani con altre oppure si fosse resa colpevole di «clamorosi schiamazzi o risa smoderate ed indecenti».
La «levata» delle ragazze era fissata «alle sei e mezza nei mesi di gennaro, febbraro, novembre e dicembre ed alle sei negli altri mesi».
Il regolamento prevedeva pure «la durata della preghiera mattutina e il riscaldarsi d’inverno al fuoco comune, la scuola, il lavoro, i pasti, la ricreazione ed il riposo «ciascheduna nel proprio letto». Ogni «zitella» doveva «abilitarsi a ben leggere con il permesso di applicarsi ad imparare a scrivere».
Parca la mensa e modesto l’abbigliamento-uniforme costituito «dal fazzoletto, casacchino, sottanino color bleu turco, grembiale e scarpe senza fibbia».
Per quanto attiene ai divertimenti le regole erano molto chiare: «il Giovedì grasso e gli ultimi i tre giorni di Canevale la feste dovevano avere la durata di due pomeridiane fino alle 10 di sera. Vietati travestimenti e maschere di qualsiasi tipo e severamente vietato introdurre nel Conservatorio durante il ballo, non solo qualsiasi uomo, ma anche fanciulli di ambo i sessi e di tutte le femmine già ospiti della Casa e parenti delle zitelle».
Le Figlie della Carità di San Vincenzo De’ Paoli non gestirono solo ospizi per fanciulle povere. La loro presenza fu molto assidua ed altrettanto apprezzata in tantissimi ospedali (sia in tempo di pace come di guerra), in cliniche, asili e strutture per anziani.
Nelle enormi corsie degli ospedali di una volta tra quei letti bianchi e allineati come tastiere di pianoforti che emettevano tristi melodie, andavano e venivano senza sosta con quella familiare «uniforme sanitaria» che, per anni, ha accompagnato ammalati alla guarigione, ha confortato familiari affranti, ha asciugato lacrime di sofferenti.
Erano le suore degli ospedali, a metà strada tra angeli e donne, con quei copricapo nivei a forma di vela che avevano il compito di «muovere l’aria» là dove tutto era fermo e immobile, persino il tempo che pareva non trascorrere mai.
Nella nostra città, Maria Luigia, chiamò dalla Francia altre suore delle stesso Ordine ma di un'altra Congregazione rispetto alle consorelle che già operavano a Parma come quelle che gestirono l’«Ospizio delle Zitelle» di «Borgo delle Rane».
Le nuove arrivate prestarono servizio sia nell'Ospedale Vecchio di strada D'Azeglio che in quello «nuovo» di via Gramsci.
Appena giunte a Parma risiedettero in un palazzo di Strada D'Azeglio sul quale è affissa una lapide che ricorda la loro missione tra i sofferenti. E, proprio nell'Ospedale Vecchio, furono le preziose alleate di Padre Lino il quale non mancava mai di fare visita ai suoi ammalati.
«Al sóri caplón'ni», un 'ottantina, si trasferirono, negli anni Venti, al Maggiore (alloggiando dove ora si trovano le cucine) ed in quello psichiatrico di Colorno per poi cessare il loro prezioso lavoro nel 1971.
La loro presenza, non era solo di sostegno morale o spirituale, ma le religiose svolgevano compiti professionalmente molto qualificanti con grande scrupolo e dedizione.
Non avevano orari né conoscevano feste comandate, erano in servizio permanente effettivo tutti i giorni e tutte le notti molte volte addormentandosi sulle seggiole in ferro delle corsie quando, sopraffatte dalla fatica, attendevano l’alba tra il lamento di povere anime sofferenti, colpi di tosse, imprecazioni, tintinnii di bicchieri.
Come accoglievano tre le loro braccia un neonato che si affacciava al mondo, così erano pronte a comporre con mani pietose coloro che salutavano la vita per addormentarsi per sempre sulle ali del mistero.
Ai loro ammalati dispensavano medicine, arance, mele e santini non mancando mai di far recitare una preghiera anche a quelli, a prima vista miscredenti, ma, che dinanzi a quei copricapo bianchi e ai quei visi rassicuranti, si lasciavano convincere abbozzando un frettoloso segno di croce.
Le suore dell’Ospedale, unitamente alle crocerossine, in tempo di guerra, nei vari ospedali militari, rappresentarono un simbolo di dedizione e di amore verso il prossimo, ampio e visibile, come quei larghi copricapo di tela che indossavano e che le facevano apparire come veri e propri «angeli delle corsie».
Attualmente l’Ordine religioso, la cui superiora è Suor Marisa Scorza, è composto da cinque suore che svolgono il loro servizio-apostolato presso la Casa di Riposo Villa Serena di Basilicanova. Lorenzo Sartorio