C'era una volta

Un centro storico vissuto con amore. Nostalgia di una città elegante e unica

Lorenzo Sartorio

Luoghi tipici, cinema e alberghi ricchi di particolari suggestioni

Esistono angoli nel centro storico della nostra città profondamente mutati negli anni che, solo le foto d’epoca, possono restituire alla memoria di coloro, certamente non più giovani, che in quei borghi, in quei negozi ed in quei locali hanno scandito il veloce passaggio degli anni della loro adolescenza e della loro giovinezza.
Ad esempio, un fazzolettino di città, calato proprio nel cuore di Parma a due passi dal Duomo, Battistero, Piazza Grande è quello delimitato tra Piazzale Cesare Battisti, via Mistrali, Piazzale della Macina e via XX Marzo. Ed allora, azionando la macchina del tempo, proviamo a fare una passeggiata virtuale con la speranza di suscitare piacevoli amarcord negli «over anta». Partiamo da Piazzale Cesare Battisti, un tempo chiamato «Pescheria Vecchia» («Pescaria vécia») perché ospitava, all’ombra del campanile della chiesa di San Giorgio, un fiorente mercato ittico fondato da tale Gaspare Del Papa, pescatore, che lo introdusse nel 1478. «L’iniziativa di Del Papa - come sostiene Giovanni Ferraguti nel suo bel libro i «Borghi di Parma» (Battei editore - 1981) impreziosito da stupende foto dell’autore - incontrò probabilmente i favori della gente se, anche altri commercianti del settore allorché la chiesa di San Giorgio venne demolita, si stabilirono su quella piazzetta che prese il nome di Pescheria Vecchia. L’enorme concorrenza non giovò probabilmente a nessuno tanto che, nel 1700, i pescivendoli abbandonarono il luogo che in passato aveva ospitato i commercianti di carbone». Però, un inno al pesce rimase in zona con la fornitissima pescheria anni Sessanta di via XX Marzo ubicata proprio dinnanzi all’antica volta di accesso in via Mistrali ed ora sede del ristorante «Cantiere del Borgo».

Lì accanto c’era anche il fornitissimo negozio di ferramenta di Giorgio Spagna che faceva angolo con Borgo del Leon D’oro. Nel 1924 il Comune decise di intitolare questa piazza a Cesare Battisti, irredentista italiano che lottò tutta la vita per far ottenere al Trentino l'annessione all'Italia e l'autonomia amministrativa dall'Impero austriaco e fu fucilato nel 1916. Scalando di … «qualche» anno dalla sua intitolazione topografica, attraversiamo il piazzale alla fine anni sessanta - inizio anni settanta per entrare in un «santuario» di acconciature maschili a quei tempi meta dei «bon vivant parmigiani»: quello di Pellicelli e Bianchi con, alle forbici e rasoio, l'allora giovane, bravo e promettente Sergio Lori, sosia di Lando Buzzanca, grande appassionato di calcio e indimenticato collaboratore della Gazzetta di Parma.

Sempre in Piazzale Battisti era attivo un «paradiso delle signore» tutto parmigiano con la «Modisteria Paini». Il «modìssti» (parliamo degli anni Trenta- Quaranta- Cinquanta), seguendo la moda del tempo, creavano cappellini per signora di tutte le fogge e dimensioni, con veletta o meno, a seconda delle varie richieste. Il fulcro dei laboratori delle modiste parmigiane era strada Cavour e dintorni dove, agli inizi del Novecento, erano attivi diversi laboratori tra i quali quello, appunto, della Modisteria Paini di piazzale Cesare Battisti dove, fino agli inizi degli anni sessanta, venivano creati eleganti modelli molto apprezzati dalle «signore bene» di Parma. Per i giovani anni Sessanta un’occhiata alla boutique «Il Landò», ubicata sempre nel piazzale, era doveroso, non solo per osservare i raffinati capi di abbigliamento esposti in vetrina, ma anche per incontrare lo sguardo delle graziose commesse del negozio.

Via Mistrali, dedicata a Vincenzo Paolo Mistrali, governatore del Ducato di Parma e ministro delle Finanze della duchessa Maria Luigia D’Austria, era un mondo piccolo parmigiano. Infatti, nelle sue viscere, conteneva anche Piazzale della Macina dove sorgeva il famoso «Albergo-ristorante Macina», esattamente al civico 5, ubicato nello stesso edificio che, tempo addietro, aveva ospitato l'«Osteria del Pozzo», chiamata così perché nelle cantine, al di sotto della cucina (sia dell'Osteria che poi del Ristorante), si trovava un pozzo pubblico al quale tutti potevano attingere acqua in periodi di siccità. Questi pozzi comuni, già nell'anno in cui Emanuelli scrive la sua prima edizione delle «Osterie di Parma» (1924), erano stati chiusi dall'autorità per «misure igieniche». «Nel 1967, nello stesso caseggiato in cui prima si trovava l'«Albergo Ristorante della Macina» - ha precisato lo studioso Angelo Ghiretti, parmigiano del sasso, nonchè presidente della Deputazione di Storia Patria delle Province Parmensi - vennero fatte grandi escavazioni per la costruzione del palazzo oggi esistente. In quell'occasione vennero scoperte le cinque urne cinerarie della necropoli terramaricola di Parma, il cui villaggio si trovava, e si trova tuttora, sepolto sotto Borgo Valorio e zone limitrofe, a circa trecento metri di distanza». L’«Albergo Ristorante Macina», particolarmente famoso per la sua eccellente cucina, non solo parmigiana ma anche con raffinate escursioni «fuori porta», era frequentato da illustri clinici e docenti universitari.

Ma perché «Macina» e quali sono le origini del nome, non solo dell’albergo, ma del piazzale e un tempo anche del borgo che poi fu battezzato XX Marzo a ricordo della battaglia sostenta dal popolo parmense, il 20 marzo 1848, per vincere la tirannide austro - borbonica? «Borgo della Macina era così citato - è scritto nel libro di Giovanni Ferraguti - perché avevano sede il Palazzo della Macina e relativi uffici della gabella per la riscossione della tassa da chi faceva macinare le granaglie. Godeva di grande importanza commerciale proprio perché le macine portavano un forte contributo all’economia locale; lo testimonia un episodio del 1429 quando il Vescovo di Parma, convinto di avere motivi di priorità, impedì il flusso della acque del canale Maggiore provocando gravi danni al dazio». A pochi metri di distanza dall’«Albergo Ristorante Macina» sorgeva il cinema-teatro Centrale che fu inaugurato il 7 giugno 1917.

Un cinema molto frequentato che ebbe il suo momento di splendore negli anni Sessanta-Settanta. Le sale cinematografiche che andavano per la maggiore a quei tempi erano: il Lux in piazzale Bernieri, l’Edison in via Cavour, l’Orfeo in via Oberdan, l’Ariston in via Petrarca, il mitico Ducale in via Bixio, il Centrale in piazzale della Macina, il Verdi in via Verdi, l’Odeon in viale Piacenza, il Pace in via Cocconcelli, il Roma in viale Tanara, l’Astra in piazzale Volta (ex teatro dell’Opera Nazionale Balilla), il Trento in via Trento (ex Dopolavoro Ferroviario), il D’Azeglio (ex Stimmatini) in via D’Azeglio, il Piccolo Teatro in borgo della Trinità, il Conforti presso l’oratorio del Sacro Cuore in piazzale Volta, l’Olimpico in via Montanara, il Ritz (ex Excelsior) in via Venezia e l’arena estiva Farnese in viale Solferino. E, dopo un bel film al Centrale, come ad esempio «Beretti verdi», in grado di fare sognare l’uniforme a tanti giovani di fine anni Sessanta, come non imbucarsi nell’adiacente Borgo Sant’Ambrogio per un panino da «Pepén» o un gelato nella gelateria «Manna», magari fischiettando la «Ballata dei marines» ascoltata poco prima nella colonna sonora del film che vide protagonista un immenso John Wayne.