Pelle in fiamme? Può essere orticaria

Isabella Spagnoli

L'orticaria è una delle patologie cutanee più comuni, affligge infatti circa una persona su cinque almeno una volta nella vita. Ne sono colpiti in particolare gli adulti, le donne con una frequenza doppia rispetto agli uomini, ed il 10% dei bambini. 
«Il termine orticaria  - spiega   Erminia Ridolo, direttore della scuola di specializzazione Allergologia ed immunologia clinica dell'ospedale Maggiore - origina dal fatto che il quadro clinico cutaneo è simile a quello che compare quando si viene in contatto con le ortiche ed è altrettanto pruriginoso. Le diverse presentazioni cliniche hanno tutte in comune la comparsa improvvisa, ovunque sul corpo, di ponfi intensamente pruriginosi ed evanescenti. Tali lesioni cutanee superficiali rilevate, del colore della pelle o più chiare, circondate da un alone arrossato e spesso con una zona più chiara al centro, sono il risultato finale di meccanismi complessi, immunologici e non, in cui basofili e mastociti cutanei hanno un ruolo predominante poiché in grado di rilasciare sostanze come l’istamina ed altri mediatori vasoattivi, che causano aumentata permeabilità dei vasi sanguigni cutanei, con secondario edema e comparsa di prurito». 
Ridolo spiega che in taluni casi ai ponfi generalizzati può associarsi angioedema, ossia un gonfiore localizzato per esempio alle labbra e/o palpebre, causato dall’edema degli strati più profondi del derma, del sottocute e raramente della sottomucosa, causa di dolore e senso di tensione locale.
 «L’orticaria viene distinta in orticaria acuta e cronica, a seconda della durata della sintomatologia: è acuta se i ponfi si risolvono in breve tempo (da 2-4 giorni fino a 6 settimane), mentre viene definita cronica se il quadro clinico persiste oltre. In un terzo dei casi è possibile identificare un fattore scatenante: fisico-ambientale (orticaria solare, da freddo, acquagenica, da pressione o colinergica) e pertanto viene definita orticaria inducibile. Ma purtroppo, il più delle volte, l’orticaria ha causa sconosciuta, e viene definita spontanea o idiopatica». 


La professoressa spiega che la manifestazione acuta può essere associata ad allergie (alimentari e da puntura di insetto) assunzione di farmaci, in particolare antinfiammatori non steroidei (FANS) o essere secondaria ad infezioni virali o batteriche. «In questo caso, oltre ad un’accurata anamnesi, le recenti linee guida europee non suggeriscono di effettuare alcun esame a meno che non si sospetti una causa specifica (es. allergia a sostanze specifiche da parte del paziente, dedotta dall’anamnesi). Abitualmente è sufficiente sottoporsi per pochi giorni ad un ciclo di terapia antistaminica ed eventualmente, in caso con quest’ultima non si riuscisse a controllare la sintomatologia, associare steroide sistemico. È sempre consigliabile utilizzare i cosiddetti “antistaminici di seconda generazione”, in cui sono per lo più assenti   effetti secondari come la sonnolenza».
 Ridolo spiega che l’orticaria cronica spontanea colpisce circa il 2% della popolazione, più spesso persone di sesso femminile e può associarsi nell’1% dei casi alla presenza di malattie autoimmuni già note o meno al paziente stesso (malattie reumatiche, tiroiditi, celiachia e vitiligine). 
«In circa il 30% dei pazienti le manifestazioni cliniche riconoscono un’eziopatogenesi autoimmune e sono causate da autoanticorpi IgG per la subunità α del recettore per IgE (35% to 40%), o da IgG diretti contro le IgE stesse (5% to 10%). Esiste inoltre in questi pazienti l’associazione con la presenza di anticorpi antitiroide, in particolare anti TPO. Questo particolare fenotipo di orticaria cronica tende ad essere autolimitante nella maggior parte dei pazienti, ma in un paziente su cinque può durare fino a più di cinque anni, con un impatto significativo sulla qualità di vita, legato all’imprevedibilità degli episodi, al peggioramento della qualità del sonno e agli effetti sull’autostima personale soprattutto in caso di lesioni localizzate al volto».
 L’orticaria cronica presenta inoltre elevati costi diretti ed indiretti ed il management è senz’altro molto complicato. Infatti, i pazienti con orticaria cronica spontanea sono quasi sempre sottoposti a numerose indagini, con forte impatto in termini di spesa sanitaria.
 «Purtroppo non c’è evidente consenso sulle indagini che debbono essere fatte di routine, che nella pratica clinica risultano spesso negative: in passato venivano consigliati   esami molto complessi e costosi a tutti i pazienti in prima istanza, mentre secondo le linee guida europee, oltre ad un’accurata ed approfondita anamnesi, un semplice esame emocromocitometrico con valutazione degli indici di flogosi è sufficiente. Ulteriori test, come il test con siero autologo, sono necessari solo in casi in cui vi sia una causa sospetta o per escludere altre patologie in diagnosi differenziale», spiega l’esperta che rivela come ancora più complesso risulta essere l’approccio terapeutico che si avvale dell’utilizzo dei farmaci antistaminici da utilizzare per periodi lunghi e a dosaggi più elevati.
 «Molto spesso è necessario associare alla terapia antistaminica altri farmaci, come gli steroidi in brevi cicli di 3- 4 giorni o farmaci immunosoppressori come la ciclosporina, spesso con risultati insoddisfacenti. Non risolutivo appare inoltre l’approccio dietetico complementare, consigliato sotto forma di dieta di eliminazione dei pseudoallergeni consentita solo per 2-3 settimane». 
L’esperta spiega che da alcuni anni, in  centri specialistici, esiste  la cosiddetta terapia biologica, personalizzata, che prevede l’utilizzo di un anticorpo monoclonale denominato omalizumab. 
Tale farmaco, somministrato per via sottocutanea una volta al mese, blocca il rilascio dei mediatori da parte dei mastociti, risolvendo nella quasi totalità dei casi ed in maniera persistente la sintomatologia con grande soddisfazione dei pazienti. 

Erminia Ridolo
Direttrice sucola di specializzazione Allergologia ed immunologia clinica dell'ospedale Maggiore