I nonni millennial? Attivi, in forma e vivaci dopo gli 80

Monica Rossi

Toglietevi dalla testa l’immagine degli «umarell», lo stereotipo dell’anziano che si piazza davanti ai cantieri e li commenta, magari con le mani incrociate dietro alla schiena. Perché gli over oggi surfano sul web e usano i social con (quasi) la stessa destrezza dei nipoti; scrivono mail; viaggiano, fanno sport, vanno a ballare, studiano; si innamorano (perché no?); e in molti casi ancora lavorano. 

Sono i nonni «millennial». E poco importa che siano o meno nonni in senso stretto: l’importante è riconoscere che «anziani», se la salute e la pensione li ha aiutati, non lo sono perché, se accompagnati in percorsi ad hoc, possono godere dei benefici della medicina che, in questi anni, ha segnato una svolta epocale in fatto di geriatria. 
Merito anche delle strategie mirate alla prevenzione delle malattie neurodegenerative, come spiega Marcello Maggio, direttore della Clinica Geriatrica e professore associato all’ateneo di Parma.

«Parma ha ospitato Sigg-Age, il congresso regionale Lombardia-Emilia Romagna sulla complessità in geriatria tra ricerca e clinica - dice Maggio - Studi e riflessioni che hanno abbracciato tutto il complesso mondo della terza età, puntando principalmente sulla prevenzione, la strada maestra per una vita di qualità anche dopo gli 80 anni. Intercettare e prevenire il rallentamento cognitivo e motorio è infatti la condizione   affinché, in assenza di patologie debilitanti, l’anziano oggi possa avere una vita soddisfacente. La parola d’ordine è “invecchiamento attivo”, per la quale è in corso di definizione una legislazione nazionale». 

La medicina oggi si propone di identificare e intervenire sulle patologie croniche prima che queste diventino disabilitanti. «Intercettare le potenziali fragilità o un   deterioramento cognitivo in fase iniziale può  prevenire o ritardare la demenza. La sfida   è duplice: vedere le patologie prima che queste si inneschino e puntare sull’autonomia dell’anziano. Nove semplici domande di un questionario chiamato “Sunfrail” aiutano a metterci in allerta ed a iniziare interventi proattivi. Un percorso che si attua quando il soggetto che partecipa agli studi viene non solo seguito durante i giorni di degenza ma anche nella fase post dimissioni, con monitoraggio a livello ambulatoriale attraverso programmi nutrizionali (per individuare quali sono gli alimenti ideali per il mantenimento dell’autonomia), motori e cognitivi», spiega Maggio. 

I primi segnali? Quando il boccone va di traverso. «Può sembrare una banalità, e in effetti è un evento comune: a quanti non è capitato che cibo e bevande siano andati di traverso? Nell’anziano, tuttavia, è un segnale da non sottovalutare. Con l’età, infatti, avanza la presbifagia: i muscoli di più distretti degenerano e si determina così anche una ridotta capacità di deglutizione. A essere coinvolti sono i due sistemi che si articolano insieme, vale a dire quello respiratorio, rappresentato dalle vie aeree superiori, e il tratto digestivo superiore, composto da cavo orale, faringe ed esofago. A causa delle difficoltà di deglutizione, non di rado l’anziano incorre in una polmonite, che si innesca perché il cibo o le bevande che finiscono prima nei bronchi e poi nei polmoni irritano e a lungo andare causano un’infezione. Di fronte all’anziano che viene ricoverato per insufficienza respiratoria acuta, potremmo avere a che fare proprio con una polmonite “digestiva”. I problemi di deglutizione, poi, portano alla malnutrizione: l’anziano mangia meno perché fa fatica a mandare giù il cibo. Da qui una minore e sempre più ridotta fisicità e parimenti un deterioramento cognitivo, che innescano via via un deperimento generalizzato», specifica l’esperto.

 «Per conseguire l’obiettivo dell’invecchiamento attivo, seguiamo l’anziano con programmi mirati: una corretta nutrizione (studiamo caso per caso, ad esempio, diete diversificate ricche di proteine e anche a consistenza modificata, che tengano conto delle condizioni del cavo orale e delle capacità di deglutizione di ciascun soggetto) e una mirata attività motoria rappresentano   aspetti che non possono non andare a braccetto con l’aggregazione, che inizia proprio negli ambulatori, dove magari gli anziani si incontrano e interagiscono».