Stare Bene
Il parto (in)dolore
Parla Stefania Fieni, responsabile Percorso nascite dell’Unità operativa semplice Azienda ospedaliero universitaria Parma
Da sempre, l’avvicinarsi del momento del parto ha spaventato le donne in gravidanza. Se in tempi lontani ciò era legato alla paura per l’incolumità della madre e del bimbo, oggi, invece, appare legato solo al dolore. Con Stefania Fieni, responsabile Percorso nascite dell’Unità operativa semplice della nostra Azienda ospedaliero universitaria, abbiamo invece capito che il dolore del parto può essere considerato addirittura «buono».
Travaglio e dolore
«Qualsiasi donna sa che il travaglio è accompagnato dal dolore. Quest’ultimo, dal punto di vista fisiologico, ha però delle funzioni: prima fra tutte, segnalare l’inizio del travaglio e quindi la nascita del neonato. Ciò significa, per la donna, in una logica ancestrale, mettersi al riparo e trovare un luogo dove mettere al mondo il proprio cucciolo, prepararsi, quindi, a qualcosa di importantissimo che sta avvenendo – continua Fieni -. Se in tempi antichi, il dolore dava l’allarme per trovare un posto protetto dove partorire, ora, “avvisa” la mamma di andare all’ospedale. La sofferenza della donna è anche segnale, per le persone che le stanno intorno, che quest’ultima ha bisogno d’aiuto. Comprende, dunque, tanti aspetti biologici e antropologici. Le informazioni che la partoriente riceve in travaglio attraverso il dolore hanno poi una funzione protettiva e di guida, attivano risposte comportamentali quali la ricerca di una posizione favorevole che crei minore resistenza e compressione, guida la donna nella spinta nella fase finale del travaglio».
Il limite della sofferenza
Ma quando la sofferenza diventa eccessiva? «Questo lo può stabilire solo la donna. La modalità con cui partorire è decisa esclusivamente dalla partoriente che potrà scegliere se affrontare un travaglio naturale o con epidurale. Dal mio punto di vista il dolore ha una finalità importante: celebrare la vita. E la celebrazione passa attraverso la ritualità. La sofferenza momentanea fa parte di questa ritualità. Noi possiamo decidere di toglierlo, ma la cosa importante è riportare al centro ciò che deve essere al fulcro di ogni cosa: la nascita del bambino. Non voglio provare dolore, ma allora con cosa celebro questa nascita? Occorre trovare alternative. Faccio un esempio: l’ostetrica dovrà sostenere e coinvolgere la donna sul focus della nascita, distogliendola magari da attività inutili, come quella di aspettare il momento del parto guardando il telefonino».
Fieni spiega che per aiutare la mamma che soffre durante il parto può essere indispensabile la presenza di una persona cara che la assiste. «Anche in tempi Covid noi cerchiamo sempre di garantire la presenza del papà o di una persona di fiducia alla partoriente». Fieni ribadisce che la decisione finale va sempre lasciata alla donna.
Soglia di tollerabilità
Qual è il dolore che è in grado di tollerare? Preferisce scegliere in partenza l’epidurale o aspettare di decidere durante il travaglio? «Sono sempre di più le donne che decidono di fare l’epidurale, solitamente mamma mature. Credo sia importantissimo che la donna si informi, prima del parto, su quali possono essere le tecniche di sostegno del dolore in travaglio, che sono molteplici oltre l’analgesia epidurale. Ma è importante ricordare che diversi studi ci hanno oramai insegnato che il grado di soddisfazione della donna rispetto all’esperienza del parto non sia correlato tanto alla riduzione dell’intensità del dolore quanto ad altre variabili, riferibili più ai fattori che ne favoriscono la sopportazione, quali il controllo sull’esperienza, le aspettative relative al parto oppure quelle personali, il supporto e la qualità della relazione con il personale sanitario e il coinvolgimento nelle scelte assistenziali».