salute

Terapia ormonale sostitutiva, quando serve e come sceglierla

Anna Maria Ferrari

Farmaci «intelligenti», cerotti e spray: i consigli di Tullio Ghi, direttore della Ginecologia e docente universitario

Migliora la qualità di vita delle donne in menopausa; presenta molti benefici a fronte di rischi che si possono tenere sotto controllo; gli ultimi studi hanno dimostrato che rallenta l'invecchiamento cerebrale, oltre a combattere, come si sa da tempo, l'osteoporosi e frenare il rischio di malattie cardiovascolari. Le tre parole magiche (ma di magico c'è poco: è tutta scienza) sono «terapia ormonale sostitutiva». Ne parliamo con Tullio Ghi, direttore della Struttura complessa di Ostetricia e ginecologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma, docente ordinario di Ginecologia e ostetricia e direttore dell'omonima Scuola di specializzazione dell’Università di Parma.

Quando è consigliata la terapia ormonale sostitutiva?

«Le donne italiane mediamente vanno in menopausa intorno ai 50 anni, con un range tra i 45 e i 54 anni. Se per un anno intero non appare il ciclo mestruale, allora possiamo a ragione parlare di menopausa e dobbiamo prestare molta attenzione a una serie di disturbi, che compaiono di frequente, legati al fatto che vengono a mancare gli estrogeni. In accordo con il proprio ginecologo, la donna, per un periodo limitato ad un massimo di dieci anni, può decidere di assumere la terapia ormonale sostitutiva, cioè un supporto esogeno di ormoni che mimano in tutto e per tutto quelli endogeni, che però non sono più prodotti autonomamente dall'organismo».

Quali sono i disturbi che rendono consigliabile questa terapia?

«Li distinguiamo in due tipologie. Ci sono alcuni disturbi che hanno un impatto molto rilevante sulla qualità di vita delle donne, ma che da un punto di vista clinico non sono pericolosi: parlo della cosiddetta “sindrome climaterica”, quindi le vampate di calore, la sudorazione notturna, gli sbalzi del tono dell'umore, l'insonnia, la secchezza delle mucose genitali, l'aumento di peso. Poi ci sono disturbi che lavorano sottotraccia, in silenzio, ma possono comportare rischi clinici sul medio-lungo termine: ad esempio, la fragilità delle ossa fino all'osteoporosi, con il rischio di fratture, e il cambiamento della composizione del sangue che può perdere, diciamo così, per semplificare, la sua precedente qualità, diventando meno fluida, con maggiori livelli di colesterolo e trigliceridi, il che comporta un aumento del rischio di arteriosclerosi. Quindi l'indicazione alla terapia può essere costituita sia dal disagio causato da sintomi climaterici sia dalla previsione di un rischio di patologie a carico delle ossa e del sistema cardiovascolare».

Quali sono i farmaci usati nella terapia sostitutiva? E come vengono somministrati?

«Sono di due categorie, estrogeni e progesterone, in pillole o compresse. Di recente la ricerca ha messo a disposizione altre vie di somministrazione, ad esempio si possono assumere gli estrogeni sotto forma di gel o di cerotto. Non solo: è stato proposto anche lo spray, tipo un deodorante da spruzzare sulla pelle del polso, formula che piace molto. Per molte donne, infatti, è confortante non assumere pillole, ma avere l'opportunità di usare modi diversi dalle tradizionali medicine, come se queste nuove formulazioni le alleggerissero dall'idea di assumere un farmaco».

Perché questa terapia non viene consigliata a tutte le donne?

«Nei primi anni 2000 c'è stata una battuta d'arresto perché uno studio americano aveva evidenziato che la terapia ormonale sostitutiva comporta un aumento piccolo, ma significativo, di tumore al seno. Da allora la ricerca ha fatto passi da gigante ed ha prodotto farmaci alternativi, quelli che attualmente, a mio avviso, sono la tipologia migliore: si chiamano Serm, sigla che vuol dire “modulatore selettivo del recettore estrogenico”».

Qual è la differenza rispetto ai farmaci precedenti?

«Sono farmaci intelligenti, di nuova generazione, introdotti una decina di anni fa, che hanno avuto e hanno molto successo. Nel senso che si tratta di molecole non steroidee in grado di fissarsi sui recettori degli estrogeni, stimolando dove serve, ad esempio sulle ossa, rendendole più solide, sulla mucosa vaginale e la cute, rendendole più morbide e meno secche, sul tono dell'umore. Nelle zone dell'organismo che non vanno stimolate, perché ciò potrebbe favorire il tumore al seno, questi farmaci agiscono, invece, come antagonisti, cioè come blocco della proliferazione cellulare. In sostanza, è lo stesso principio che, in modo intelligente, apre la serratura da una parte, ad esempio sulle ossa, ma la blocca dall'altra, agendo sul seno e sull'endometrio dell'utero, che non devono essere stimolati».

Si parla molto anche di fitoestrogeni. Che cosa sono?

«Una via di mezzo tra i farmaci e i prodotti naturali, derivati dalle piante. Non sono farmaci veri e propri, ma un certo beneficio lo danno e praticamente non presentano alcun rischio sotto il profilo della stimolazione del seno. Negli ultimissimi anni si parla anche di ormoni bio-identici o bio-simili: sostanzialmente, sono estratti in bassissime concentrazioni degli estrogeni e del progesterone, preparati dal farmacista in dosaggi minimi, ma che ugualmente, in qualche modo, portano beneficio, perché forniscono estrogeni e progesterone, ma non stimolano il seno».

Per quanto tempo può protrarsi la terapia?

«Secondo le linee guida, dieci anni è il limite massimo oltre il quale non sarebbe consigliabile proseguire».

Quali sono gli esami necessari prima di iniziare? E ci sono controindicazioni assolute?

«Prima di iniziare, sono opportuni esami del sangue per il monitoraggio del livello di colesterolo e trigliceridi e controlli sulla densità ossea, con una moc; inoltre il medico deve assolutamente prescrivere una mammografia e valutare anche la storia familiare della donna, perché per alcuni tumori c'è un'eredità genetica, cioè una mutazione, Brca1 o Brca2, che predispone al rischio di sviluppare tumori al seno o all'ovaio. Quindi queste donne vanno assolutamente escluse dalla terapia. Quanto ad ulteriori controindicazioni, ricordiamo le malattie del fegato o della coagulazione del sangue, che vietano anch'esse in modo assoluto l'uso della terapia ormonale sostitutiva. Ad esempio, nei casi di “trombofilia”, cioè quando il sangue forma dei trombi, va evitata».

È vero che previene il deterioramento cognitivo?

«Ci sono dati ancora preliminari, ma comunque già ampiamente pubblicati, che ci indicano come la terapia ormonale sostitutiva prevenga il deterioramento cognitivo nelle donne, ad esempio l'Alzheimer. Questo perché pare che estrogeni e progesterone abbiano una funzione protettiva rispetto allo sviluppo di malattie neurodegenerative».

Parliamo dei costi.

«Si tratta di farmaci non prescrivibili. Diciamo che una terapia ormonale sostitutiva costa, a seconda delle varie classi di farmaci, qualche decina di euro al mese».

Lei quindi vede favorevolmente questa terapia.

«Senza alcun dubbio, i benefici sono numerosi. Il punto è che le donne cui somministrarla vanno selezionate con cura, facendo inoltre sempre capire che è una terapia che può essere seguita in tutta sicurezza se ci si sottopone a controlli periodici. Diciamo che, probabilmente, negli anni Novanta c'è stato un eccesso di prescrizioni, poi, successivamente, all'opposto, una riduzione estrema, legata agli studi sull'aumento di tumori al seno di cui ho parlato sopra, cioè si è passati direttamente al Medioevo. Oggi finalmente stiamo trovando un equilibrio che va a tutto vantaggio del benessere e della salute delle donne».