SALUTE

Come il metaverso ci cambia: gli effetti della realtà virtuale su bambini e adolescenti

Monica Rossi

Il rischio: perdere di vista relazioni ed affetti reali

Tra due fuochi. Anzi tre. Da un lato, i ragazzi con l’inarrestabile spinta a esplorare, interagire, giocare. Da un altro, gli strumenti per poterlo fare, tra piattaforme e social network che oggi dettano sempre più le regole (spesso distorte) della quotidianità. E poi ancora, i medici pediatri e le loro raccomandazioni per un uso controllato della realtà virtuale. In mezzo, le famiglie con quesiti stringenti. Uno su tutti: quali i rischi dal punto di vista cognitivo, emotivo e relazionale quando i figli abusa del metaverso? Esiste una via di mezzo per non privarli di questa “finestra”?
Tra libertà totale e proibizionismo, meglio la terza via della moderazione «fra la spinta a usare precocemente e intensivamente i social, e i devices in generale, e il proibizionismo - dice Fabio Vanni, referente del Programma adolescenza dell’Ausl di Parma - Tuttavia devo fare una premessa. Oggi la funzione educativa di accompagnamento alla crescita dei bambini e degli adolescenti non è un affare privato della coppia genitoriale, ma una funzione condivisa. Naturalmente, non si è tutti sullo stesso piano, ma l’incidenza diretta del mondo sui nostri figli e su noi stessi è cresciuta moltissimo, contraendo lo spazio privato. Il genitore si muove all’interno di vincoli culturali condivisi, suoi e dei suoi figli».
Un altro aspetto riguarda, continua Vanni, «lo spazio/tempo e il senso che il genitore attribuisce alla propria funzione educativa. Anche qui aiuta guardare al passato come pietra di paragone, senza rimpiangerlo ma per contestualizzare il presente. Nella famiglia con il padre dedito al lavoro che interviene sporadicamente sui figli, la madre che fa della funzione educativa una delle sue funzioni principali, e numerosi altri fratelli o sorelle che collaborano con lei, abbiamo una funzione dedicata e ruoli semplici e coerenti. Oggi pare che allevare figli sia più una seconda scelta rispetto al lavoro e più legata alla realizzazione personale (anche da qui l’esigenza che abbiano successo fin da piccoli in quello che fanno) e dunque sia l’introduzione di terzi in carne e ossa (in assenza dei nonni, le baby-sitter, le tagesmutter, i nidi e poi le scuole, etc), sia di terzi digitali (i devices dei quali disponiamo) appare una logica “soluzione”».
Un bambino di pochi anni però, avverte lo psicologo, «ha una grande plasticità soggettuale, non ha bisogno di devices ma di relazioni di accudimento e poi sempre più di autonomia nella presenza, ma ci è purtroppo molto funzionale introdurre oggetti sostitutivi: lui si adatta e “apprende” ciò che gli proponiamo. La soluzione però non può essere la delega alla tecnologia se non in funzione di strumento, non di sostituto relazionale».
In cosa consiste allora la terza via? «Nel cercare, da parte di ogni specifica configurazione familiare, le forme attraverso le quali collocare quel bambino nel proprio mondo affettivo e relazionale. Se un figlio c’è, uno spazio per lui va trovato, sennò ce lo farà presente a suo modo con sintomi».
Per la Federazione italiana medici pediatri (Fimp), stando alla guida «Bambini e adolescenti in un mondo digitale», la terza via è auspicabile.
«Un utilizzo controllato, sicuro e consapevole degli strumenti digitali può aiutare i bambini a sviluppare la coordinazione visuo-motoria e a stimolare la creatività e la capacità di problem-solving - raccomanda la Fimp - Ma non prima dei nove anni, con moderazione ed evitando l’utilizzo dei social network: fino a quell’età, infatti, è fondamentale non privarli delle interazioni dirette con i genitori, con i coetanei e con il mondo che li circonda, indispensabili per un sano sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale».
Per Vanni, «le età sono da intendere come criteri di massima e a volte hanno lo svantaggio di non farci considerare la singolarità di un soggetto e di un contesto. Credo che se vi è attenzione verso sé stessi, un’attenzione benevola e non concorrenziale/giudicante, questo ci consente di ritagliare una specificità del nostro ruolo genitoriale attento anche alle esigenze dei nostri figli, che diminuirà di molto la nostra esigenza di sostituirci con i devices e la loro di preferirli a noi e ad altri umani del contesto».



Fabio Vanni Psicologo 
Referente del Programma adolescenza dell’Ausl di Parma.