SALUTE

Sordità e ipoacusia: quando si deve intervenire con la chirurgia, con protesi o con apparecchi acustici

Monica Tiezzi

Con l'aumento dell'aspettativa di vita c'è un sempre crescente numero di soggetti definiti «anziani» - molti dei quali svolgono ancora una vita sociale molto attiva, e devono poter interagire con l'ambiente circostante - che lamentano fisiologici problemi uditivi. È quindi in crescita la popolazione che deve affrontare il problema.

«Negli ultimi anni sono stati pubblicati molti studi scientifici per sottolineare l'importanza delle interazioni sociali nel contrastare il decadimento cognitivo dovuto all'età - spiega Maurizio Falcioni, specialista del reparto di Otorinolaringoiatria e otoneurochirurgia dell'ospedale Maggiore - È facile comprendere come la correzione della sordità abbia un ruolo centrale anche dal punto di vista sociale, con significativi risvolti anche di tipo economico».

Quali sono le opportunità terapeutiche oggi disponibili?

«Non esiste un trattamento unico della sordità. Esistono una moltitudine di opzioni chirurgiche e/o protesiche che devono essere selezionate in base alle caratteristiche della perdita uditiva del soggetto. Per semplificare, le ipoacusie possono dipendere da problematiche del sistema di trasmissione meccanico dell'orecchio (membrana timpanica ed ossicini) oppure dell'orecchio interno. Le prime sono generalmente trattate chirurgicamente, mentre per le seconde si deve ricorrere a degli apparecchi acustici. Nelle forme miste, in cui sono presenti entrambe le componenti, si possono anche abbinare le due forme terapeutiche».

Se la chirurgia non è più un'opzione?

«In situazioni più complesse dove la correzione chirurgica non è più effettuabile (ad esempio in presenza di demolizioni dell'apparato uditivo dovute a rimozioni di patologie importanti), si può far ricorso a protesi cosiddette “impiantabili”. Si tratta di sistemi particolari che permettono di trasferire il suono alla parte interna dell'orecchio attraverso delle vibrazioni ossee e che necessitano di interventi di applicazione relativamente semplici».

Parliamo dei dispositivi tecnologici.

«In situazioni di perdita uditiva monolaterale non più protesizzabile, è disponibile una tipologia di apparecchi acustici definiti “CROS”, che permettono di trasmettere il suono dall'orecchio patologico a quello sano/migliore. Per semplificare, il paziente sente con un solo orecchio ma ha un microfono addizionale situato anche dal lato non udente, cosa che in alcune situazioni offre importanti vantaggi. Infine, nei casi più importanti, quando i residui uditivi sono talmente bassi che il paziente non ha più beneficio neanche dall'utilizzo delle protesi più potenti sul mercato, si può ricorrere all'impianto cocleare, un sistema di riabilitazione uditiva che viene posizionato con un intervento chirurgico e che permette di inviare degli impulsi elettrici direttamente al nervo acustico, offrendo nuovamente al paziente delle buone possibilità di riabilitazione uditiva. Oramai nel mondo sono stati impiantati più di 500.000 pazienti, per cui si tratta di un dispositivo sulla cui efficacia e sicurezza non esistono più dubbi. Naturalmente vanno selezionati in maniera accurata i pazienti da sottoporre all'impianto. All'Ospedale Maggiore, l'equipe di cui faccio parte si è specializzata nell'impiantare un sottogruppo di pazienti con particolari complessità chirurgiche, divenendo così un riferimento nazionale».

In quale percentuale occorre intervenire chirurgicamente?

«Come già detto, non tutti tipi di sordità sono trattabili chirurgicamente. Quando si rientra nelle indicazioni chirurgiche bisogna distinguere due situazioni: interventi puramente funzionali, in cui la riabilitazione uditiva è l'unico obiettivo del trattamento chirurgico e come tale non assolutamente indispensabile (il paziente potrebbe far ricorso a soluzioni alternative di tipo protesico, anche se spesso senza lo stesso risultato a livello qualitativo), oppure interventi dove la riabilitazione uditiva fa parte di un intervento volto alla rimozione di una patologia infettiva o tumorale, in cui la parte curativa è prevalente su quella funzionale. In queste ultime situazioni la quantità di recuperi ottimali è decisamente più bassa».

Quale percentuale di udito si riesce a recuperare con le varie opzioni?

«La percentuale è estremamente variabile a seconda della patologia e del livello uditivo da cui si parte. Ci sono situazioni in cui possiamo ripristinare una soglia uditiva che rientri in un range di normalità, mentre altre in cui ci dobbiamo accontentare di risultati più scadenti. Teniamo presente che, tra l'altro, ogni intervento chirurgico a carico dell'orecchio prevede una percentuale di rischio (solitamente bassissima) di ulteriore peggioramento uditivo».