salute
Vita lunga? La lezione delle «blue zones»
Mangiare bene, non solo allunga la vita, ma la fa vivere in salute. Moltissime ricerche scientifiche hanno chiaramente dimostrato che la chiave per avere una vita e una vecchiaia senza malattie e in piena efficienza fisica sono i corretti stili di vita che contano molto di più della genetica.
Vivere più a lungo e in salute è possibile innanzitutto se si segue una condotta alimentare corretta, evitando di mangiare troppo, mantenendo il peso forma e limitando tutti quei cibi che costituiscono un attentato alla salute causando quello stato di infiammazione silente che sta alla base di quasi tutte le patologie croniche del nostro tempo.
Sovrappeso, obesità, diabete, cardiopatie e tumori trovano infatti fra le varie cause un denominatore comune legato alla sovrabbondanza di alimenti troppo ricchi di calorie e poveri di nutrienti, che sempre di più sostituiscono i cibi e i sapori antichi della dieta mediterranea sulle tavole degli italiani.
La riprova viene dalle “blue zones”, quelle zone del mondo dove si trova la più alta concentrazione di centenari: l’isola di Ikaria in Grecia, quella di Okinawa in Giappone, la Penisola di Nicoya in Costa Rica, la cittadina di Loma Linda in California, l’Ogliastra in Sardegna sono le zone dove gli abitanti vivono più a lungo della media, mangiando senza eccessi (per lo più prodotti dell’orto, frutta secca, pesce fresco, legumi e altri vegetali) e muovendosi molto.
Purtroppo la dieta mediterranea, dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità ed ispirata a questi principi, viene seguita sempre di meno dalla popolazione italiana. Quello che era ed è un modello alimentare virtuoso e salutare basato su varietà e stagionalità, caratterizzato da un elevato apporto di verdure, frutta con moderazione, cereali (specie integrali), legumi, olio d'oliva e frutta secca, da un moderato consumo di pesce, carne bianca, uova, latte e derivati e, infine, da un consumo limitato di carne rossa, carne processata e dolciumi, accompagnata anche ad abitudini caratterizzate da convivialità, frugalità, condivisione dei pasti, stretto legame tra produzione delle materie prime e tradizione, sta sempre più perdendo quota.
Secondo i dati di un'indagine denominata Arianna (aderenza alla dieta mediterranea in Italia), condotta dall'Istituto Superiore di Sanità e pubblicati recentemente sulla rivista “Frontiers in Nutrition”, l'aderenza alla dieta mediterranea è purtroppo sempre più bassa.
La recente letteratura scientifica evidenzia un generale allontanamento negli ultimi anni dai modelli alimentari tradizionali nelle popolazioni mediterranee, compresa quella italiana, e un'aderenza alla dieta mediterranea sempre più bassa.
Con i fenomeni dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione si è registrato un discostamento sempre più evidente da tale modello dietetico e un consumo sempre maggiore di cibi confezionati e processati con eccesso di carboidrati e dolci. Dai dati della ricerca è emerso che solo il 5% dei 3.732 adulti volontari che hanno partecipato allo studio seguiva la dieta mediterranea in modo completo, con donne vegani e vegetariani più numerosi e attenti a seguire questo modello alimentare.
Gli studi indicano che per quanto riguarda le donne, ciò è legato a maggiori conoscenze sulla corretta alimentazione rispetto agli uomini, mentre il risultato relativo ai vegetariani e vegani dipende dal prevalente o esclusivo consumo di alimenti di origine vegetale, predominanti nel modello mediterraneo.
L'aderenza alla dieta mediterranea è risultata minore da chi per lavoro è costretto a mangiare fuori casa e, non avendo tempo per prepararsi i pasti, frequenta bar e fast food che spesso dispensano cibi ipercalorici e poco nutrienti a basso costo.
Le statistiche a livello mondiale ci dicono anche che se da un lato è sempre più diffuso il fenomeno della malnutrizione per eccesso (con oltre 2,5 miliardi di adulti e 37 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni in sovrappeso) è in aumento anche il numero di persone afflitto da carenze nutrizionali e da privazione cronica di cibo, con circa 2,8 miliardi di persone non hanno accesso ad un'alimentazione adeguata ai propri fabbisogni per condurre una vita in salute e 2 milioni di bambini che secondo l’Unicef soffrono di malnutrizione acuta grave, rischiando di morire.
In Italia, secondo i dati del quinto rapporto sulla povertà alimentare forniti da Action Aid, è tornata a crescere la povertà alimentare: nel 2023 ben 4,9 milioni gli italiani (l'8,4% della popolazione over 16) non ha potuto permettersi un pasto completo ogni due giorni. Secondo i dati del Ministero delle Politiche Sociali e del Lavoro, il numero di chi riceve aiuti alimentari tra il 2019 e il 2023 è aumentato del 40% passando da 2,08 milioni di beneficiari a quasi 2,91 milioni con una crescita pari a 500 mila persone dal 2022 al 2023.
Un problema sociale enorme che sta facendo crescere in maniera esponenziale i costi della sanità nel nostro paese per far fronte alle patologie legate da un lato alla carenza di nutrienti, e dall’altro all’eccesso e alla cattiva qualità del cibo che rappresenta una causa importante delle principali malattie croniche del nostro tempo, fra cui cardiopatie e tumori. Una risposta concreta potrà avvenire solo con adeguate politiche sociali e di prevenzione volte a migliorare nella popolazione e nei giovani la consapevolezza dell’importanza degli stili di vita e dell’attività fisica abbinati ad un regime nutrizionale più aderente al modello mediterraneo.