Cardiologia

Cuori non così «matti». Scompenso cardiaco, mortalità dimezzata in 30 anni

«Quando nel 1995 cominciammo a raccogliere dati nei pazienti con scompenso cardiaco cronico la mortalità era più del doppio. Oggi è di circa il 5%».
A sottolinearlo è stato nei giorni scorsi Aldo Maggioni, direttore Centro Studi Anmco, l’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, nel corso del 56/esimo congresso nazionale di cardiologia dell’associazione, il più importante evento di cardiologia in Italia che si è tenuto a Rimini la settimana scorsa e che ha riunito cinquemila cardiologi.
Maggioni ha illustrato, insieme al presidente Anmco Fabrizio Oliva e al presidente designato Massimo Grimaldi, i risultati dello studio «Bring-Up 3 Scompenso», ultima puntata di ricerca osservazionale Anmco sull’insufficienza cardiaca.

«Questa riduzione della mortalità - ha aggiunto il direttore del Centro Studi Anmco - è sicuramente dovuta all’utilizzo esteso dei farmaci che negli anni si sono dimostrati efficaci in questo tipo di pazienti, ma anche alla maggiore accuratezza di gestione di questi pazienti in generale. Se poi consideriamo i pazienti che nel tempo hanno dimostrato un miglioramento della funzione contrattile del ventricolo sinistro, generalmente definiti “improved”, la mortalità ad un anno risulta essere estremamente molto bassa, 1,9%. Questo a ulteriore dimostrazione dell'efficacia dei trattamenti raccomandati. Per quanto riguarda invece la necessità di re-ospedalizzazione, i risultati evidenziano come ci siano ancora ampi spazi di miglioramento dal momento che un paziente con scompenso cardiaco cronico su cinque necessita di un nuovo ricovero nel corso dell’anno di follow-up».
«Degli oltre 5000 pazienti arruolati nella fase uno dello studio, di cui erano stati presentati i dati basali al congresso dello scorso anno - ha ricordato Oliva - abbiamo a disposizione il follow up a un anno, con una completezza che ha superato il 97%. Si è anche conclusa da poco la fase due di arruolamento con l’inclusione di più di 4500 nuovi pazienti da 160 centri».
Allo studio, ha continuato Oliva, «ha partecipato un numero molto elevato di centri cardiologici italiani così da poter affermare che i risultati rappresentano in maniera molto completa la realtà cardiologica del nostro paese».

Nel corso del congresso Anmco sono stati presentati anche risultati del progetto innovativo di ricerca clinica e formazione sul campo Bring-Up Prevenzione, cui hanno partecipato 189 centri. «Nell’arco di tre mesi - ha spiegato Furio Colivicchi, past president Anmco - sono stati inclusi nello studio 4790 pazienti con una storia di pregresso infarto miocardico e/o di rivascolarizzazione coronarica. Ad un anno di follow-up, l’obiettivo principale dello studio, che era quello di aumentare il numero dei pazienti con livelli di colesterolo LDL ben controllati dalla terapia, secondo le raccomandazioni delle linee guida, è stato pienamente raggiunto. All’inizio dello studio, infatti, solo il 33% dei pazienti aveva un colesterolo LDL sotto controllo. La percentuale è salita al 58% dopo sei mesi e al 62% ad un anno. Come riferimento è stato utilizzato l’obiettivo indicato dalle linee guida internazionali (colesterolo LDL inferiore a 55 mg/dL).
Sempre dal congresso di Rimini è arrivata l'ennesima conferma sul rischio cardiovascolare: «Il fumo di sigaretta è il più importante fattore di rischio di infarto cardiaco nei giovani, sotto i 50 anni, e nelle donne. Non vanno assolte neanche le sigarette elettroniche: non sono innocue e a lungo termine possono provocare danni anche al cuore», ha detto Domenico Gabrielli, presidente della «Fondazione per il Tuo cuore» e direttore della Casrdiologia al San Camillo di Roma.
Gabrielli ha evidenziato come le donne fumatrici abbiano «un rischio di infarto cardiaco sei volte maggiore rispetto alle non fumatrici, e le donne che fumano ed usano contraccettivi orali hanno un rischio di infarto cardiaco o di ictus cinque volte più alto» rispetto alle non fumatrici che non li usano.

Il professore ha ricordato che il fumo di sigaretta può danneggiare le cellule che rivestono internamente le arterie aumentando «il rischio di aterosclerosi e infarto cardiaco». Eventi il cui rischio è aggravato anche da altri fattori: «Ipertensione, diabete, alti valori di colesterolo nel sangue, obesità e sedentarietà».
Le sigarette elettroniche «determinano il vaping con nicotina, glicerina e glicole» ed è stato dimostrato, sebbene le sostanze siano meno dannose rispetto quelle da combustione diretta, un «ispessimento della parete delle arterie (fattore di rischio per l'infarto del miocardio e per l’ictus cerebrale) e un incremento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Il tutto già nei primi 30 minuti successivi alla “svapata”».
Gabrielli ha poi concluso sottolineando i rischi del fumo passivo, «principale inquinante negli ambienti chiusi, in quanto comporta l’inalazione di agenti nocivi per l’organismo, derivanti dalla combustione lenta del tabacco e dall’aspirazione del fumo espirato dal fumatore, diluito con l’aria dell’ambiente».
Gabrielli ha ricordato infatti che «l'incidenza di malattie cardiovascolari e cancro al polmone aumenta rispettivamente del 25-30% e del 20-30% per i non fumatori esposti a fumo passivo», con rischi maggiori per i bambini: «Circa 700 milioni di bambini, almeno la metà dei bambini nel mondo, respirano aria con fumo di tabacco, in particolare a casa».



Anmco
Aldo Maggioni, in alto, e Fabrizio Oliva

Cardiologi
Furio Colivicchi, in alto, e Domenico Gabrielli