Dusic «Così l'empatia con gli universitari viaggia via chat»
Lo slogan #uniprnonsiferma è il leimotiv dell’Università di Parma di questo periodo, e il dipartimento di Discipline umanistiche, sociali e delle imprese culturali lo ha promosso a pieno titolo reinventando, riconvertendo e adattando didattica e attività accademiche, partendo da un assunto chiaro e inconfutabile: la cultura non si ferma.
Diego Saglia, direttore del dipartimento, lo conferma, consapevole di quanto sia cruciale ora e indispensabile nel futuro che ci attende perché è la cultura che ci tiene insieme, che ci lega ed è una delle cose di cui molti hanno sentito una grande necessità nelle fasi più dure dell’emergenza e della cui energia abbiamo assoluto bisogno per ripartire.
Come ha risposto alla necessità di cambiamento il suo dipartimento?
«Come docenti, ricercatori e studenti, durante la fase più critica dell’emergenza siamo stati, tutto sommato, un dipartimento fortunato: la nostra passione e i nostri oggetti di studio sono i testi scritti, le immagini, i film e la musica, ma anche i fenomeni sociali e politici, i fenomeni psicologici, educativi o della comunicazione - spiega Saglia -. E questi non li abbiamo perduti, non sono rimasti chiusi in una stanza o in un laboratorio, inaccessibili. Dall’inizio del lockdown, abbiamo continuato ad approfondire i nostri studi e le nostre ricerche, dando ancor più importanza a ciò che facciamo, alla luce delle sfide del presente e del futuro, e con la piena consapevolezza che il passato è una risorsa cruciale per pensare e affrontare quelle sfide. Credo che, nelle fasi in cui stiamo entrando, le discipline umanistiche, sociali, della comunicazione e della creatività avranno molto da dire, se le nostre società vorranno davvero ripensarsi, per rispondere agli interrogativi di questa emergenza non solo in senso tecnologico, economico o medico».
Considerato che siete uno dei dipartimenti con più iscritti, con 12 corsi di studio, di cui 2 interateneo, come siete riusciti ad organizzarvi in così breve tempo?
«La vita del nostro dipartimento è incentrata sul dialogo, lo scambio delle idee, il confronto. La nostra ricerca, didattica e terza missione si basano sulla riflessione condivisa - riflettere insieme per fare cultura insieme -, cosa che l’isolamento e il distanziamento ci hanno obbligato a ripensare e reinventare. Una grande sfida, questa, che abbiamo affrontato e continuiamo ad affrontare cercando di creare quante più occasioni di dialogo tra colleghi e con gli studenti. Da fine febbraio gli insegnamenti si sono riconvertiti interamente in modalità telematica, con lezioni registrate o in streaming e con i materiali di studio resi disponibili sulla piattaforma moodle di ateneo. Da allora tutti i docenti continuano a svolgere i loro compiti didattici con la massima disponibilità e flessibilità, oltre a portare avanti ricerca e compiti istituzionali. A loro, così come al nostro personale tecnico e amministrativo, va tutta la mia gratitudine. Abbiamo tenuto e teniamo tuttora in modalità telematica anche gli esami orali e le sedute di laurea e ormai tutto si svolge regolarmente».
La didattica di oggi rivolge un’attenzione profonda alla persona e alla relazione, è possibile esercitare l’empatia in remoto?
«Paradossalmente, se i media ci hanno obbligato a un contatto "senza il corpo", questo ci ha spinto a trovare forme e modi per superare la distanza, facendo sì che la condivisione empatica non sia ostacolata dalla mediazione digitale. E questo lo stiamo vedendo ogni giorno nei rapporti tra docenti e studenti. Come un po’ dappertutto, ci sono state sedute di laurea in cui i famigliari erano presenti e alla fine prorompevano in un mini-applauso, che ci ha strappato un sorriso e ci ha fatto capire ancor di più l’importanza di questo momento per i nostri studenti e per noi. Oppure, colleghi mi hanno riferito di essere riusciti a conversare via chat con gli studenti, strumento che prima disdegnavano (o non sapevano usare) e non si sarebbero mai immaginati di utilizzare. Certo, non è la stessa cosa del rapporto in presenza che siamo impazienti di recuperare, perché è ciò che contraddistingue l’esperienza e la vita universitarie».