L'estate dell'uomo dal passo veloce
Di spalle, l'avevo guardato come si guardano i turisti, un cenno di saluto col capo, me l'aveva restituito, e si allontanava.
Era estate, l'uomo veloce portava pantaloncini corti e maglietta, scarpe da ginnastica di buona marca ma non nuove, un cappellino chiaro.
Un turista qualsiasi, alle 11 circa, di un mattino neanche troppo caldo: il sole l'aveva vinta, aggirato il costone si esercitava alla conquista di asfalti e intonaci, in carruggio. Non salutavo mai per primo per vedere se mi restituivano la gentilezza, è una cosa che facevo automaticamente, di solito restituivano. Me l'aveva insegnato mia madre: se si saluta sempre per primi nella vita non si sbaglia mai. L'uomo veloce allungò il passo. L'avrei rivisto sempre vestito così, la divisa delle vacanze, tranne qualche volta d'inverno che sarebbe apparso sul ponte di pietra col cappotto e un ombrello. Io però durante l'inverno al paese ci venivo di rado. Preferivo la Liguria d'estate. Allora, assieme a lui, incontravo il mondo, i soliti cenni da distribuire, e segretamente l'immenso piacere di obbedire a mia madre. Si impara a ubbidire tardi. Quanto a lui, penso che frequentasse la valle regolarmente anche durante la brutta stagione.
Forse possedeva un buon numero di case di vacanza. Non lo so, e non glielo chiesi mai. Venire in vallata significava per lui meno di quattro ore di macchina, aveva l'autista, di questo ero sicuro, un giorno li avrei visti sulla Audi grigia, nuova e molto grossa.
Per me invece (ma in quel periodo, ora posso) venire d'inverno era quasi impossibile, vivevo (tuttora) in Olanda, lavoravo saltuariamente sul porto, scaricavo pesce surgelato, o traducevo atti di ufficio per avvocati, dichiarazioni di piccoli spacciatori e trafficanti italiani, spagnoli, ai quali facevo da interprete durante i processi.
Venire in Liguria durante l'inverno, malgrado al paese possedessi una casa e una legnaia, era dunque un azzardo. Se il tempo era bello trovavo facilmente qualche giornata da fare in campagna, a bruciare sterpaglie, raccogliere le olive, presso qualche contadino amico, oppure porgere le pietre per rialzare un muro caduto. Ma se pioveva tiravo la cinghia e mi toccava andare a fregare un po' di cachi e arance negli orti. Quell'anno - l'anno in cui per la prima volta vidi l'uomo veloce - me ne stavo seduto sul gradino del carruggio accanto a un vecchio del paese, quando l'uomo passò veloce. Il vecchio, seduto accanto a me, mi diede di gomito e fece segno col mento.
«Quello lì che hai salutato è il padrone di non so quante televisioni».
L'uomo dal passo veloce sentì sicuramente perché accorciò il collo. Il tempo di farlo allontanare debitamente un altro po' e guardai il vecchio, gli chiesi chi era.
«Te l'ho detto, ha una catramina di televisioni, e i soldi come le scaglie... Ha comparato la villa dei Scenchi, a Luvaira, sai quella col parco?».
«Come no, ci passavo sempre d'inverno al ritorno da scuola, il pomeriggio tardi…».
«Da scuola?».
« Niente… E viene in ferie?».
«Certo, gli piace camminare, sempre a passo spedito. Ogni tanto si ferma a scambiare una parola, mi dice: allora, stiamo al fresco? E io gli dico che stiamo al fresco».
Cominciai a informarmi, a chiedere quando lo si vedeva, se più di mattina, quando si passeggia volentieri e il sole risparmia. Se frequentava i bar della valle, ma questo era impossibile, quella gente lì non va al bar. I ristoranti. No, neanche, doveva avere un cuoco e camerieri, seppi che a tutte le ore uscivano bande di filippini dal cancello di Villa Scenchi…
Quel cancello, d'inverno, da bambino avevo sempre così tanta paura a passarci davanti, ricordavo. Da chi conosceva le sue abitudini mi feci spiegare quali mulattiere prendeva di solito, misi assieme un bel po' di informazioni.
Erano più o meno le cose che m'aveva detto il vecchio: in agosto l'uomo veloce scendeva da Torino ogni venerdì sera e il lunedì mattina, all'alba, la grossa Audi grigia usciva dal cancello e si dirigeva verso lo svincolo dell'autostrada.
Io la sera me ne stavo nell'orto fino a tardi, seduto su una vecchia ceppaia di eucaliptus, a sentire le rane e parlare da solo. L'uomo è uno dei più grandi editori, mi dicevo, direttore e presidente di diverse televisioni e di un potente gruppo editoriale. L'uomo è tutto questo e trascorre le vacanze a Luvaira.
Era ormai di spalle. L'avevo guardato come si guardano i turisti, un cenno di saluto col capo, me l'aveva restituito. Non mi pubblicò mai ma ci scrissi questo racconto.