Bernardo, Parma e il sogno del cinema
«In una città come Parma mi sembrava naturale pensare, sognare di fare il cinema».
Bernardo bambino, coi capelli lunghi sulla fronte, che gioca con suo padre, Bernardo con l'occhio dentro a una Mitchell, Bernardo che ogni inquadratura voleva fosse un film. Bernardo e Francesco, Bernardo e Vittorio, Bernardo e Clare, sua moglie: che a un certo punto dice una cosa bellissima, una di quelle che non ti sei preparato, ma che ti esce così, non sai tu nemmeno perché, come per magia. E guardando la cinepresa spiega che quello di suo marito era «un cinema che ballava»: dice proprio così, ed è un'immagine bellissima. Un cinema che ballava. «Pura poesia, un atto di seduzione».
A due anni esatti dalla sua scomparsa, Sky Arte rende omaggio all'ultimo imperatore del cinema italiano con il documentario «Bernardo Bertolucci-Parma è stata il cinema», che, in onda domani alle 21.15, esplora in poco meno di 25 minuti non solo la complessa, innovativa, appassionata, energica, lirica, idea di cinema del regista de «Il conformista» e di «Ultimo tango a Parigi», ma soprattutto il rapporto del grande cineasta con la sua città, quella Parma che - come sottolinea l'assessore alla Cultura e docente di Storia del cinema Michele Guerra - fu per lui «limite e insieme rifugio», piccola capitale borghese con cui pensava di avere chiuso i conti, giovanissimo, con «Prima della rivoluzione» e dove invece, nel momento del massimo successo, in cui avrebbe potuto scegliere di andare ovunque, decise di tornare.
Creato in collaborazione con Parma 2020+21, il documentario, diretto da Andrea Calderone, monta insieme alcune interviste recenti e storiche di Bertolucci con le testimonianze di persone che lo conoscevano bene o che gli erano particolarmente care: oltre a quelli della moglie e di Guerra, significativi gli interventi del regista Francesco Barilli, già protagonista di «Prima della rivoluzione» e del leggendario direttore della fotografia Vittorio Storaro, uno dei collaboratori più stretti e fidati di Bernardo. Quello che esce è il racconto di un autore che «dedicò completamente se stesso a un cinema del tutto nuovo», come ricorda Storaro, di un figlio, parola di Clare, che «coi suoi film cercava sempre di scioccare suo padre, ma in realtà non faceva altro che rendergli omaggio», di un ragazzino, confessa Barilli, che «a 23 anni sembrava Orson Wells: nessuno fiatava sul set». E pazienza se a Cannes, dopo la proiezione di «Prima della rivoluzione», qualche critico gli consigliò di cambiare mestiere: lui, che di «Novecento» voleva fare una serie tv, era già un passo avanti a tutti.
Ma il breve film prodotto da Sky Arte è anche - tra le pieghe di immagini che ne restituiscono in alta definizione la grande bellezza - la scoperta di una città particolare, il paese del melodramma, che sapeva e viveva di cinema. La Parma che girava in testa a Bertolucci, dove suo padre Attilio, critico cinematografico della Gazzetta di Parma e noto ipocondriaco, andava in sala con il termometro sotto il braccio, vittima della «malattia necessaria», quella di scrivere. La stessa città in cui don Saccani chiamava a raccolta centinaia di giovani al Piccolo Teatro risparmiandogli la predica ma nutrendo le loro coscienze a forza di noir. La città della musica di Verdi e dei documentari di Antonio Marchi, in cui un regista dalle idee larghe, per dirla alla Godard, come Bertolucci crebbe. Quella Parma che «è stata il cinema»: e che forse lo è ancora.