teatro

Federico Buffa "Io, Riva e De André"

Venerdì a Salso il suo spettacolo "Amici fragili"

«Due personaggi così l'Italia di oggi non li ha, non ne fanno più: né l'uno né l'altro. Sono treni che sono passati, ma non passano più». Come fai a dargli torto? Vuoi mettere Faber e Rombo di tuono? Fabrizio De Andrè e Gigi Riva? Fuoriclasse senza tempo, amici fragili che si stimavano a distanza e che si incontrarono, tra molti silenzi e regali speciali, una volta sola. Quella che racconterà venerdì a Salso, al Teatro Nuovo, nel suo spettacolo già portato con successo al Regio, un altro fuoriclasse, Federico Buffa, il migliore storyteller italiano.
«Riva De André-Amici fragili» prende il via da quell'unica volta - il 14 settembre del 1969 - che il cantautore che tifava Genoa e il bomber del Cagliari si videro di persona: come ti è venuto in mente di trasformare quel breve ma eccezionale incontro in uno spettacolo?
«Stavo preparando un documentario per Sky sullo scudetto del Cagliari e sono venuto a sapere che Riva dopo una partita a Genova era andato a trovare De André a casa sua. Così l'ho menzionato. Marco Caronna, il mio regista, quando l'ha saputo mi ha detto: “Ma veramente? Il prossimo spettacolo lo facciamo su questa storia”. E così è stato: 11 quadri come il numero di maglia di Luigi detto Gigi: in ognuno, una parte raccontata, una cantata e una suonata».
C'è qualche novità rispetto allo spettacolo visto al Teatro Regio?
Sì: ad esempio sono venuto a sapere dal nipote di Luigi in persona che, frugando in uno zaino alla ricerca di sigarette, le famose Muratti Ambassador da cui il campione non si separava mai, un giorno trovò una pistola: dopo il rapimento di De André e Dori Ghezzi in Sardegna, la polizia aveva dato il porto d’armi a Riva per questioni di difesa personale...»
Ma Riva e De André sono stati tuoi idoli di ragazzo?
Assolutamente sì: tra l'altro la casa in cui ho passato le mie estati distava 500 metri in linea d'aria da quella di Riva. Si può dire che sono stato un suo piccolo stalker...».
Lui ha visto lo spettacolo?
No, come sai è molto schivo: si è fatto mandare il video, però. Mi ha fatto sapere che è un po' difficile per lui vedere una cosa del genere, dove si parla tanto anche dei suoi genitori, della sua vita: c'è una componente emotiva molto forte. E' stato un giocatore unico, irripetibile: non te lo puoi immaginare nel calcio di adesso, lui così riservato in un mondo così social».
Riva, De André, ma anche Aguilera che segna ad Anfield, Liliana Segre, Sartre e Gigi Meroni...: nello spettacolo c'è spazio per tanti altri personaggi, Come hai ideato queste storie parallele? Parti già con l'idea di portarle in scena e quindi cerchi un collegamento con la vicenda principale oppure è quest'ultima che ti conduce ad altre strade?
Funziona così: Caronna mi chiede se ho qualche improvvisazione da fare sul testo principale. Allora mi viene in mente che 30 anni fa il Genoa, per cui De André ha fatto il tifo tutta la vita, ha battuto il Liverpool a casa sua, ad Anfield, prima squadra italiana a riuscirci, e così quella storia finisce nello spettacolo. Ma anche che Viggiù, dove Riva viene mandato in collegio, è lo stesso posto in cui venne arrestata Liliana Segre. Magari può sembrare una cosa fuori contesto, ma non credo che lo sia del tutto: in fondo è uno spettacolo di tipo evocativo, va indietro nel tempo, con una vena nostalgica».
Come è nata la collaborazione con due parmigiani come Marco Caronna e Alessandro Nidi?
«Mi hanno raggirato... Alessandro è il mio partner di sempre, è presente in tutti tutti gli spettacoli che ho fatto. E Alessandro è molto legato a Marco. Un giorno me lo presenta a Bologna e viene fuori che lui vorrebbe fare con me un'intervista teatrale: finisce che invece diventa uno spettacolo, «Il rigore che non c'era». E a quel punto era troppo tardi per dirgli di no...».
Tutti ti conoscono come storyteller e come grande esperto di sport, basket e calcio in particolare: ma so che sei anche un grande appassionato di cinema...
«Sono totalmente innamorato del cinema e in particolare di quello orientale: sono un grande fan del cine-
ma coreano. Non ci vuole molto a capire che i loro registi hanno due marce in più».
Un'ultima curiosità: che ne pensi del parmigiano Stefano Pioli, allenatore del Milan campione d'Italia?
«Ho avuto modo di conoscerlo quando allenava la Fiorentina e mi è sembrato uno con un'educazione allo spirito del gioco, uno che avesse molto rispetto per il gioco del football: mi pare che queste regole, questo rispetto lo sappia comunicare alla sua squadra»,