Opera

Recensione dell’opera “Don Giovanni”

Michela Cantoni 4° Scenografia Liceo artistico Paolo Toschi

Misterioso, fuggitivo, sporco di peccato: ognuno di noi potrebbe essere complice o carnefice come Don Giovanni; questo è il messaggio che vuole lasciarci la regia di Mario Martone, andata in scena al Teatro Regio di Parma lo scorso gennaio, obiettivo principale quello dell’immedesimazione totale da parte dello spettatore. Il coinvolgimento emotivo riesce sia grazie alle notevoli capacità attoriali del cast sia agli escamotage visivi elaborati dal regista: la scenografia, probabilmente statica e ripetitiva agli occhi dello spettatore ma nel complesso funzionale, lascia libera interpretazione da parte di quest’ultimo, che può sentirsi parte della giuria accusatoria che punta il dito dagli spalti di un tribunale, oppure limitarsi d’essere un semplice spettatore omertoso che, seduto comodamente, si gode la scena dei terribili soprusi dell’imputato che, avvicinandoci al finale, perderà sempre più credibilità e di conseguenza consenso, precipitando all’inferno sul culmine della storia. Ciò a cui assistiamo non è quindi una semplice rappresentazione frontale ma un percorso di redenzione: usciti dal teatro ci sentiremo infatti scagionati da un peccato che non abbiamo mai commesso ma di cui ci siamo sentiti colpevoli durante il corso dell’intera rappresentazione, di cui siamo convinti di esserne macchiati.Ciò che invece non ha completamente convinto è stata l’interpretazione del protagonista, Vitto Priante, che non ha soddisfatto le aspettative riposte nei suoi confronti, non riuscendo a delineare tutte le sfumature che caratterizzano il libertino mozartiano e che lo rendono la figura più emblematica di tutta la vicenda. A rubargli la scena, oltre che il cuore degli spettatori, sono stati invece il carismatico Riccardo Fassi, per la prima volta nei panni di Leporello, e Enkeleda Kamani che, con la sua voce cristallina e il suo portamento seducente, è riuscita a risollevare un ruolo fino a quel momento poco considerato,stregando il pubblico. Ad accompagnare il racconto l’ottima direzione, che ha compensato di pathos dove Priante vacillava, creando quell’atmosfera concitata e solenne che non era riproposta da 29 anni e di cui sentiremo parlare ancora a lungo, assieme all’eterno, universale e immortale Don Giovanni.