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Giulia Barbieri, due anni dopo l'infortunio è finito un incubo

Paolo Mulazzi

Dodicesimo minuto del secondo tempo della partita di serie A femminile tra Colorno e Cus Torino del 5 dicembre scorso. Per il Colorno esce Eleonora Capurro ed entra Giulia Barbieri. Per quest’ultima è la fine di un incubo. L’ultima partita disputata dalla 25enne estremo/mediano di mischia colornese datava 10 novembre 2019 contro la Benetton Treviso, aveva realizzato 5 trasformazioni. Due anni e un mese fuori dai giochi. Poco importa se nella scorsa stagione la serie A femminile, al pari di altri campionati, non si è disputata a causa della pandemia: lei non avrebbe giocato comunque. Potrebbe scrivere la sceneggiatura di un nuovo film: “Il mio piede destro”.

«Che poi, in realtà, anche l’altro aveva dei problemi, anche se in misura decisamente minore» rivela Giulia. Nessun timore quando le è stato detto di entrare in campo, sopraffatto dalla voglia e dalla gioia di tornare a fare ciò che ama: «Ero carica, molto contenta, pronta a dare il massimo. Mi sono sempre sentita bene, ho fatto un percorso molto consistente». Già, il percorso. Lungo e tribolato poiché quella che sembrava essere una fascite plantare da risolvere in pochi mesi ha nascosto qualcosa d’altro: «S’era staccato il periostio e mi causava dolore. Ma lo abbiamo scoperto soltanto a maggio di quest’anno, più o meno, anche se già dall’anno scorso si era intuito che non era solo la fascite, per cui c’è voluto più tempo per risolvere il tutto. Non ho fatto interventi, il fisioterapista mi ha trattato veramente bene e mi ha rimesso in sesto, insieme a cure specifiche e poi tanta palestra. È stato bello tosto, ma ne è valsa la pena. Ora gioco con un plantare speciale». Tosto anche dal punto di vista mentale.

«Un paio di volte avevo ripreso a correre, ma mi ero dovuta fermare. Non ero fiduciosa per niente, più volte ho pensato che forse avrei smesso, però mi sono detta che non era il momento e che dovevo trovare la maniera corretta per saltarci fuori». Con grande pazienza e grande disciplina: «Soprattutto disciplina perché non è sempre piacevole fare fisioterapia, però la ripetizione è indispensabile, come per gli skills del rugby ma anche nella vita. Testa bassa e tanto impegno». E della serie non tutti i mali vengono per nuocere: «Ne ho approfittato per impegnarmi nello studio, mi sono laureata (in Scienze Motorie, nds), ho fatto dei corsi e ho letto tanto, un po’ di tutto, ma soprattutto materiale riguardante la preparazione fisica, il mio mestiere». Come dicono coloro che hanno inventato il rugby, all the best.

Paolo Mulazzi