Calcio Giovanile
2° Memorial Stefano Andreoli
Un Leone di nome Stefano
C’era una volta un uomo con i capelli lunghi e biondi che ondeggiavano nel vento come una criniera tanto da pensare che quella non era la testa di un uomo, ma piuttosto quella di un leone, sì un leone di razza di quelli che oggi, forse, non esistono più.
Questo suo pseudonimo non era, però, legato solo al suo aspetto fisico, ma all’enorme forza di volontà, tenacia e il coraggio che dimostrò nella sua vita dentro e fuori dal campo. Ecco quel detto: “Meglio un giorno da leone che cento da pecora” calza a pennello Stefano, tu eri l’emblema di una vita vissuta da protagonista, da dentro o fuori, da uomo tutto d’un pezzo, da una parola detta al momento giusto e nel modo giusto.
Noi giovani si parlava molto spesso di calcio con lui, ma non disdegnava neppure di darci qualche consiglio fuori dagli schemi, perché come diceva lui da laziale come era: “Luca te devi distinguè!”. Cavolo, questa è una frase che non dimenticherò mai, perché in qualunque modo tu la legga, è impregnata di significati soprattutto ai giorni nostri.
Credo di avere una sola foto con lui insieme ed è il mio più grosso rammarico, ma chi avrebbe pensato che mai più avrei goduto delle sue pacche sulle spalle o delle sue chicche dialettali tanto goliardiche quanto genuine e dirette come fendenti verso la porta avversaria?
Molto spesso noi, addetti ai lavori, partecipiamo a tornei intitolati a persone scomparse senza sapere nulla della loro vita, delle loro passioni, di quello che hanno realizzato in vita e di cosa hanno lasciato alle persone che gli hanno voluto bene. Vorrei che con Stefano non fosse così e allora perché non chiedere aiuto a Chiara, figlia di Stefano?
Chiara, molto brevemente, spiegaci il percorso, partendo dalle giovanili, che tuo padre ha fatto in passato
da calciatore e poi da allenatore.
“Negli anni ‘60 e ‘70 le giovanili del Torino erano il fiore all’occhiello in Italia e all’età di 14 anni, mio padre, lascia Roma per poter coltivare il sogno di calciatore a Torino alla corte del meraviglioso Filadelfia. Cresce con la filosofia del “cuore granata” e a 19 anni viene ceduto al Savona che allora militava nella serie C. Rimane per un solo anno in Liguria e grazie alle sue dote tecniche di difensore laterale viene chiamato poco più che ventenne dal Parma in maglia crociata. Siamo nella stagione 1974/1975 dove fa qualche presenza in prima squadra in serie B, ma retrocede. L’anno dopo viene riconfermato, ma un brutto infortunio al ginocchio ne causa definitivamente l’uscita dal professionismo come giocatore. Ai giorni nostri, sono sicura, che avrebbe avuto un finale diverso la sua carriera, purtroppo erano altri tempi, altri medici e altri tipi di interventi chirurgici. Il calcio era la sua ragione di vita e così non riuscì ad abbandonarlo. Nel frattempo, si trasferisce definitivamente a Parma con la sua famiglia e intraprende la carriera da allenatore spinto da una insostenibile voglia di trasmettere e insegnare ciò che aveva vissuto da calciatore alle nuove leve del calcio. Prima guida alla vittoria del campionato Juniores la Sampolese in val d’Enza e poi si convince a percorrere la via del calcio dei “grandi” nella medesima società, ma ben presto e aggiungo per fortuna capisce che la sola e unica strada è la “bella gioventù”. Il suo futuro è allenatore e direttore tecnico nella società più organizzata e seria di Parma e provincia: la Juventus club. Trova il suo habitat, i suoi ragazzi e i suoi istruttori costruendo in breve tempo in quella società ciò che fino ad allora non si era mai visto prima, un percorso tecnico delle giovanili. Una vera e propria “costruzione interna del calciatore” così tanto moderna e ricercata ai giorni nostri. Onestamente la fine non è stata come l’aveva pensata, tuttavia credo che abbia lasciato le orme da seguire per i nuovi ragazzi, i “suoi ragazzi”. Questo torneo 2° Memorial Stefano Andreoli è la prova tangibile che non tutto è perduto e il suo “Credo calcistico” vive ancora. Grazie a tutti ci vediamo il 22 Aprile”.