ARTICOLO DEL 2014

Archivio Gazzetta di Parma - Mabel Bocchi ricorda la prima volta ad Avellino. E i giochi all'asilo di via Trento

Vanni Buttasi

La campionessa parmigiana: «Ho scoperto il basket grazie a Cesarina»

Nel giorno dell'addio a Mabel Bocchi riproponiamo - dagli archivi della Gazzetta di Parma - un'intervista di Vanni Buttasi uscita l'11 giugno 2014. 

Una stella del basket femminile. Pensi a Mabel Bocchi e ti viene in mente subito il Geas San Giovanni e la nazionale azzurra. Un'atleta che ha fatto la storia dello sport italiano. E adesso, da giornalista, racconta lo sport con competenza e professionalità.

Cosa ricorda della sua gioventù a Parma?

Mi ricordo dell’asilo in via Trento e di suor Ferdinanda, l’unica che in qualche modo riusciva a comprendermi dal momento che parlavo a quel tempo (tre anni circa) solo spagnolo, la lingua della mia mamma Carmençita, argentina di Buenos Aires. Tant’è che su un foglio che portavo sempre con me nel cestino delle merende vi erano segnati i vocaboli più frequentemente usati tradotti in italiano. Ricordo i giochi che facevo nel cortile del mio palazzo con un gruppo di bambini, tutti maschi. A quel tempo alle bambole preferivo di gran lunga giochi molto più motori, in cui già una specie di componente agonistica era già ben presente. Soprattutto perché, in quanto femmina, dovevo per forza farmi valere e rispettare. Ricordo anche, e sono già più grandicella, una società di pallavolo di Parma, di cui ora non mi viene in mente il nome, e i miei pomeriggi passati a schettinare in uno spiazzo vicino a casa dove avevo modo di frequentare anche gran parte dei miei amici di cortile e scuola. Poi, a causa del lavoro di mio papà Aldo, ci trasferiamo ad Avellino. Ho 14 anni e mezzo quando inizio a frequentare la terza magistrale ad Avellino un po’ in anticipo visto che, dopo avere superato un esame, sono entrata direttamente in seconda elementare a 5 anni e rotti.

Quando ha iniziato a giocare a pallacanestro?

E’ proprio a scuola che, per puro caso, mi ritrovo per compagna di banco una giocatrice di basket, Cesarina, che vedendomi così alta (ero già 1.78) mi dice di provare questo nuovo sport. Mi entusiasma fin dall’inizio e alla Partenio, questo era ed è il nome della società cestistica, non pareva vero di avere una giocatrice così alta. Non vengo inserita in squadra ma affidata a Gerardino, un allenatore particolarmente bravo nell’insegnare i fondamentali individuali. Vengo segnalata al settore squadre nazionali che dapprima mi accoglie a braccia aperte tra le juniores e poco dopo nella nazionale senior. A 16 anni, dopo essere stata promossa in serie A con l’Avellino, vengo “acquistata” dal Geas Sesto San Giovanni... Comincia lì la mia vera carriera di “professionista”.

Quando è avvenuto il debutto in serie A e quali emozioni ha provato quel giorno?

Il debutto nella massima serie è avvenuto in trasferta, a Cagliari, partendo già nel quintetto base. Una facile vittoria e, per quel che ricordo, un buon rendimento. Ma quella giornata è stata segnata da un altro episodio. Dovete sapere che nel Geas tutte le giocatrici venivano da fuori, più precisamente dal Veneto, e l’allenatore, Luisito Trevisan, era friulano. Tradotto, io ero l’unica astemia della squadra. Così, nella cena del dopo partita, mi costrinsero a bere il mio primo bicchiere di vino, dicendomi che non potevo diventare una forte giocatrice da astemia. L’esperienza non mi dispiacque affatto. Risultato: mi addormentai profondamente su una poltroncina nell’atrio del ristorante, fui portata in braccio a letto e mi riebbi solo la mattina dopo prima della partenza per Milano.

Lei ha vinto 8 scudetti e una Coppa dei Campioni con il Geas Sesto San Giovanni: a quale di questi titoli è legata di più? E perché?

Senza ombra di dubbio alla Coppa dei Campioni che abbiamo vinto a Nizza contro una squadra cecoslovacca. Prima e unica formazione italiana ad avere conquistato questo trofeo senza l’apporto delle straniere. Giocammo tutte molto bene ma, forse, la mia è stata la migliore prestazione di sempre, pur avendo come avversarie dirette delle cestiste della nazionale del loro Paese alte almeno una decina di centimetri più di me.

In Nazionale ha vinto un bronzo agli Europei nel 1974 e nel mondiale 1975 fu eletta miglior giocatrice del torneo. Per tre anni consecutivi è stata nominata migliore giocatrice del Vecchio Continente. Cosa provava quando indossava la maglia azzurra?

Pur essendo nata da una mamma argentina, mi sono sempre sentita profondamente italiana, persino quando, fino a poco tempo fa, nei miei viaggi all’estero per vacanza ero spesso derisa a causa di un capo di governo a dir poco discusso. Indossavo quella maglia e mi sentivo improvvisamente invincibile, a mo’ di Nembo Kid. Una sensazione splendida che mai più ho provato nella mia vita. Tuttora, quando durante una competizione internazionale, sale sul podio più alto un atleta, maschio o femmina non ha importanza, e viene issato il tricolore e suonato l’Inno di Mameli, non posso fare a meno di emozionarmi.

Come sono i rapporti con suo fratello Norberto, campione di bridge, e sua sorella Ambra, anche lei protagonista nel basket?

Ottimi con entrambi, anche se non abbiamo più molto modo di vederci in quanto Norberto vive a Barcellona e Ambra in Calabria. Mentre la mia sorellina è stata alquanto sfortunata a causa di una serie di gravi infortuni al ginocchio che l’hanno obbligata a interrompere la carriera cestistica fin da giovanissima, pur essendo forse più forte di me in quanto della stessa altezza, ma ala pura, Norberto ha avuto ed ha la possibilità di praticare uno “sport”, il bridge, che non ha i limiti di tempo delle discipline in cui occorre avere una certa prestanza fisica. Lui è il “genio” di famiglia (almeno così si autoproclama). Sta di fatto che, ormai da oltre due decenni, è considerato il migliore giocatore del mondo.

Dal campo al commento in tv: come mai ha scelto la professione di giornalista?

Inizialmente, quando ancora giocavo, mi è stato chiesto di condurre una trasmissione di basket su una televisione privata milanese (in seguito divenuta Retequattro). Già scrivevo per “Superbasket”, il noto periodico di settore il cui direttore era il grande Aldo Giordani, mio maestro sia nel giornalismo scritto che parlato. Sono così divenuta pubblicista e, grazie alla mia esperienza in Rai con la “Domenica Sportiva”, giornalista professionista. Nella vita, insomma, ti si aprono delle strade che mai avresti pensato di percorrere (io ero diplomata all’Isef e in Pubbliche relazioni allo Iulm). In tv sono rimasta sino al 1992, poi ho deciso di mollare. Non mi piaceva l’ambiente, non mi piaceva più anteporre l’immagine alla sostanza. Ero stufa di dovere continuare a pensare a come vestirmi, truccarmi, pettinarmi, sorridere sempre anche quando non era affatto necessario (che cavolo c’è da ridere mentre leggi una classifica o dei risultati … me lo imponeva Tito Stagno). Ho preferito riprendermi la mia totale libertà e dedicarmi al solo giornalismo scritto. Una scelta di cui non mi pento affatto, anche se certamente molto meno remunerativa.

Ha qualche rammarico nella sua lunga carriera?

Nessuno!