Quando Carburo parava le domande di Stukas
La domanda era «perché perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone, perché? Perché? Qualche volta non ci porti pure me?». È la fine dell’estate del 1963, Rita Pavone vende un milione di copie della sua Partita di pallone sulle cui note la macchina da presa inquadra il campo di allenamento del Bologna Calcio. Le domande di Pier Paolo Pasolini sono invece altre.
A Pavinato, il capitano, Pasolini chiede: «Senta Pavinato, a lei il pensiero della vita sessuale è un pensiero che le mette addosso piacere o un senso di inquietudine?».
«Piacere» risponde Pavinato con un mezzo sorriso.
«Senza il minimo dubbio?» incalza l’intervistatore.
«Senza il minimo dubbio».
«Allora vuol dire che lei si sente libero…».
«Tranquillo, libero e anzi…» precisa Pavinato tenendo però le mani conserte come se da solo si stringesse in una camicia di costrizione.
«Lei è veneto, se non sbaglio…» insiste Pasolini.
«Sì, di Vicenza…».
«Beh, il Veneto è una regione molto cattolica, in generale, non è vero? E lei pensa che i veneti non risentano di questa loro educazione cattolica in questo campo».
Inclinando un poco il capo e ammiccando di nuovo a un sorriso Pavinato risponde, sempre stringendosi le braccia: «Non credo…».
«E lei, Bulgarelli?», cambia interlocutore Pasolini.
Giacomino, di fianco a Bruno Perani, fa il disinvolto e inizia con un giovanilistico “Cioè”: «Cioè, quasi tutti noi siamo andati a fare catechismo… eeeh fare queste cose tutte in chiesa e in parocchia [con una “r” sola, ndr]. Quindi ognuno di noi ha… nel proprio… nel proprio sfondo, nel proprio fondo ha questa… questa repressione.
«Ad esempio, sentiamo un cannoniere, Pascutti…» continua Pasolini.
Pascutti si gira e sorride coi suoi bei dentoni.
«Pascutti, lei si sente libero come Pavinato, nelle “audaci imprese”?».
«Sì, senz’altro…» borbotta imbarazzato il friulano.
«Ma guardi, io non dico soltanto libero nel fare l’amore lei con chi le pare e piace. No, dico anche in un senso intellettuale, nel giudicare gli altri…».
Pascutti alza le spalle e ribadisce: «Beh, io mi sento libero… in tutti e due i campi, sens’altro…» come se gli avesse chiesto se preferisce segnare alla Juve o all’Inter.
«Lei non ha nessuna inibizione?».
«No, no…».
I giocatori del Bologna sono tutti lì in fila, c’è Haller e c’è Fogli, c’è Tumburus e Harald Nielsen, Furlanis e Janich e con le loro belle tute di allenamento con scritto sul petto BOLOGNA FC. Il Bologna è la squadra di Pasolini. Lo spiega bene qualche anno dopo, nel gennaio 1969, in una rubrica sul settimanale “Tempo”: «Io sono tifoso del Bologna. Non tanto perché sono nato a Bologna quanto perché a Bologna, (...) sono ritornato a quattordici anni, e ho cominciato a giocare a pallone. (...) I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo, mi avrebbero chiamato lo "Stukas": ricordo dolce bieco) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di
Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone (Reguzzoni è stato un po' ripreso da Pascutti). Che domeniche allo stadio Comunale!».
Lo Stadio Comunale è lì vicino all’allora centro di allenamento del Bologna FC. Fino a quel momento l’intervista è andata abbastanza bene. I calciatori, seppure imbarazzati, hanno risposto in modo cordiale. Poi però Pasolini cambia interlocutore.
«E lei Negri?» dice rivolgendosi al portiere, che è arrivato giusto poche settimane prima a giocare sotto le Torri, proveniente dal Mantova.
William Negri è mantovano di Bagnolo San Vito, ha ventott’anni e un ruolino professionale che lo ha portato per una decina d’anni a far la guardia ai pali di squadre della sua provincia - Governolese, Indomita Mantova - e poi finalmente a portare in serie A il Mantova, il “piccolo Brasile di Mondino Fabbri e Italo Allodi. A Bologna Negri arriva anche con un soprannome: Carburo, per via del fatto che a Bagnolo San Vito dava una mano alla pompa di benzina di famiglia.
Carburo è alto, ha una capigliatura scura, compatta e ben pettinata, folte soppraciglie arcuate, un bel naso volitivo.
«E lei, Negri?» chiede Pasolini e si sente rispondere da un vocione: «Mah, per me, va bene così…».
«Non capisco…» replica Pasolini.
«No, non ho niente da dire» ribadisce Carburo.
«Come non ha niente da dire? In che senso?» insiste Pasolini.
Negri scrolla il capo.
«Lei non… ».
Si sovrappongono le voci.
«Non voglio pensarci - dice Negri - Non ci penso neanche».
«Ah, non ci pensa…».
«Non ci penso…».
«Una difesa tenace, insomma» commenta la vocetta un po’ sarcastica di Pasolini.
https://www.youtube.com/watch?v=LSkOnp7Lt-Y
Sono i 45 secondi (dal minuto 21'30'' al 22'15'' circa) che nel film-documentario Comizi d’amore - una coraggiosissima inchiesta sugli italiani e il loro rapporto con l’amore e la sessualità - realizzato tra il marzo e il novembre del 1963 e poi messo in distribuzione nel 1965, Pasolini dedica ai giocatori del Bologna Calcio. È l’inizio della stagione 1963-64, che vedrà alla fine trionfare, dopo uno spareggio finale contro l’Inter di Herrera, proprio il Bologna di Fulvio Bernardini. E di Bulgarelli e Pavinato, Haller e Pascutti, Perani e Nielsen. E naturalmente di William Negri, detto Carburo, in porta. Una porta inviolata solo 18 volte in 34 partite, miglior difesa del campionato. Una difesa tenace, proprio come aveva detto la vocina, evidentemente beneaugurante, di "Stukas".
"Carburo" Negri si è difeso tenacemente fino a ieri, 26 giugno 2020, quando a preso il suo ultimo, definitivo gol, a quasi 85 anni. Non fu fortunatissimo in carriera, Negri. Dopo lo scudetto col Bologna, il settimo, quello a cui tutti vogliono più bene perché ultimo da troppi anni, subì un brutto infortunio nella stagione 1965-66, che ne decretò un irrimediabile ridimensionamento. Una stagione al Lanerossi Vicenza, una al Genoa e poi il ritiro nel 1971, ancora a Mantova, dove rimase a fare l’allenatore dei portieri con qualche fugace apparizione in panchina come allenatore in seconda.
L’infortunio a inizio 1966 gli costò anche la rinuncia ai Mondiali di Inghilterra e alla maglia della Nazionale, sulla cui panchina stava seduto proprio il suo scopritore al Mantova, Edmondo Fabbri.
A Carburo, che non voleva pensare al sesso, adesso toccherà pensare da quale lato gli tireranno in porta Mariolino Mandrake e Pierino la Peste.