Nel castello di Teodolinda regna Artù. Quello con le ali

Lucia Galli
Ci sono il castello e i fantasmi, i falchi e le loro planate ardite dalla roccia ed uno strano mostro. Non manca, ovviamente un’algida regina antica, Teodolinda, longobarda nel nome e nel destino, che con la sua corte avrebbe soggiornato quassù. 
Benvenuti nella fiaba di Vezio e su quel ramo del lago di Como. Si, quello manzoniano, scavato da orridi e canyon che scendono, con acque impetuose, dalla Valsassina per poi inchinarsi ai placidi golfi dell’acqua di lago.
 Il piccolo borgo di Vezio è il cugino meno noto della celebre e più glamour Varenna. A venti minuti da Lecco, ecco un’infilata di case pastello a bordo lago, solcate da antiche strade in pietra, jet set quanto basta e frettolosi turisti. Solo i più pazienti e curiosi, superata la sua passeggiata sospesa sul lago e dedicata all’amore, si infilano anche fra i suoi boschi lungo il sentiero del Viandante che, in 20 minuti di cammino di salita conduce fra Vezio e Perledo, borghi sospesi nel tempo. 
STRADA DA BRIGANTE
Nei secoli era questa la via privilegiata per calare su Milano e la pianura. Predoni, briganti, lanzichenecchi e molti guai: serviva insomma, un robusto castello a difesa di questi luoghi ameni. Così c’era una volta e c’è ancora Vezio, la rocca turrita dove non manca nulla per fare un salto nel Medioevo. Le origini del castello si perdono fra celti, liguri, forse perfino etruschi. Anche la guerra ha utilizzato le sue segrete che incrociavano la linea Cadorna. La protagonista, però, resta lei, Teodolinda. La regina, secondo alcuni storici, trascorse qui i suoi ultimi anni di vita, dandosi un gran da fare per restaurare merli e torrioni, decorare le chiese, come la minuscola san Martino, o il petroso oratorio di sant’ Antonio che oggi svetta accanto ad uno dei cimiteri più piccoli d’Italia. 
Tutt’intorno c’è l’abbraccio dell’uliveto che, ogni autunno, contribuisce a metà della produzione della Dop dell’extravergine di oliva Laghi Lombardi. Teodolinda qui visse come regina senza re. Lontani i suoi amori e le sue passioni di gioventù. Così oggi il signore del luogo è un pennuto di razza e dal destino un poco sfortunato: si chiama Artù, ma alle tavole rotonde, ai cipressi e ai sempre verdi del bosco preferisce il comfort di una casetta in legno. Si, è una gabbia, volendo banalizzare. 
Eppure quella “voliera” è stata la salvezza di questo gufo reale rimasto in cattività. Oggi non saprebbe né volare né vivere da solo, il suo imprinting è andato storto e gli ha riservato un altro destino. Artù è divenuto la mascotte di una serie di rapaci che trovano dimora nel castello, grazie all’associazione turistica che ha creato un centro di addestramento per questi vigili piumati, dal candido barbagianni Semola, passando per Parsifal la poiana e per Tristan, un falco lanario. Il castello, come una grande arca di Noé, racconta anche del Lariosauro: risposta laghée allo scozzese mostro di Loch Ness, o forse come sostiene la scienza, rettile del Triassico medio. All’epoca di Teodolinda se n’era già andato, ma il castello custodisce anche la sua storia, per chi la voglia ascoltare (info www.castellodivezio.it; ingresso 4 euro).