viaggi

L'incenso e le rose: viaggio alla scoperta dell'Oman l'altra faccia del Medio Oriente

Luca Pelagatti

E' giusto sapersi fermare. In Oman il limite è a 91 metri, l'altezza del minareto della Grande Moschea del Sultano Qaboos. Oltre non si può andare, più in alto non è lecito spingersi. E in una parte di mondo dove esagerare è la prassi, dove la sguaiata sfida a chi lo fa più grande è la norma già questo è un valore. Non solo: ad una ora di volo da qui, ad Abu Dhabi, ci si pavoneggia nella succursale locale del Louvre e si fa gara ad esporre Leonardo o persino il protervo Napoleone firmato Jacques-Louis David. A Muscat no: nei 14mila metri quadri del museo Nazionale si sfiorano piuttosto manoscritti del Corano e raffinati monili in argento, preziosi oggetti antichi e porte di palazzi di un passato durante il quale, nella terra mitica della Regina di Saba, astuti mercanti sciamavano con i loro carichi di incenso. Come dire: l'Oman (experienceoman.om) ha un passato, lo sa, e ne va fiero. Il presente lo stiamo costruendo. Il futuro arriverà: ma senza frenesia.

E' questa l'impressione più forte che si prova quando si sbarca dopo sei ore di volo in questa capitale orizzontale, in questa città-manifesto di un Paese che, grazie alla ricchezza che sta sotto la sabbia e alle intuizioni dei suoi regnanti, ha scelto la propria strada: siamo in Medio Oriente ma senza macilente distese di capanne e antenne satellitari che sfregiano Il Cairo o Damasco; siamo nella penisola arabica ma senza le sbruffonesche esibizioni di grattacieli di Dubai. Una terza via è possibile: anzi, esiste già. Si chiama Oman.

Il punto di partenza quasi obbligato è la grande moschea inaugurata nel 2001 in occasione dei 30 anni di regno del defunto, e amatissimo, sultano: la guida, è doveroso, racconterà che il tappeto è formato da un miliardo e settecento milioni di nodi, che il lampadario pesa oltre 8 tonnellate e i cristalli che lo compongono sono legione. Ma intanto anche i non musulmani sono benvenuti e nel vicino centro islamico, pacatamente, ricordano che qui l'Islam segue la corrente ibadita. Un particolare: nel loro rituale del venerdì non è prevista la maledizione dei nemici. In un mondo intriso d'odio non è poco.

D'altra parte i segnali di diversità sono ovunque: ad esempio, la Royal Opera House, bomboniera di marmo e di note, è diretta dal bresciano Umberto Fanni. Prima era all'Arena di Verona e ora a Muscat gestisce un calendario dove si spazia dal «Va, pensiero» alla world music. E l'annesso museo musicale lo invidierebbero molte capitali europee. Analogo distinguo sul tema femminile: due ministri sono donne, lievita una generazione di imprenditrici in rosa e l'artista Alia al Farsi ha portato la bandiera omanita anche alla Biennale in laguna. E poi basta andare in giro per gli hotel e attaccare bottone con gli expat per trovare granitiche conferme: «Sono arrivato per un incarico di sei mesi – sorride il lombardissimo Simone. - E sono qui da 15 anni. In Oman si vive bene, i servizi funzionano, lo stile di vita è rilassato: io sono un ingegnere e progetto strade. E come ai tempi degli antichi Romani qui c'è un intero paese da costruire».

Un paese molto grande che offre però in una manciata di chilometri la possibilità di tuffarsi in un mare simil caraibico o salire, con le ridotte, su montagne oltre i 3000 metri, dove i deserti giocano tutte le declinazioni dell'idea di duna e dove un ingegnoso sistema di canali – si chiamano Aflaj e sono Patrimonio dell'Umanità - ha portato l'acqua anche nel mezzo del nulla. Tra le case di fango dei villaggi sbocciano le inebrianti rose damascene.

Ma, va detto, non aspettatevi una città piaciona: Muscat è enorme, ha autostrade che la solcano con concreta, brutale efficienza e il suo souq non è una melassa di folklore come a Marrakesh: la città è cresciuta rapidamente – prima del 1970 si arrivava solo dal mare - senza cedere all'invadenza dei giganteschi mall emiratini e spesso nelle bancarelle si trovano offerte marchiate globalizzazione. Ma il profumo d'incenso è ovunque e quasi nessuno vi bracca per piazzare un souvenir. Quindi è bello trovare un angolo riparato, magari davanti alla corniche che pedina il mare, e godersi una limonata con la menta guardando in lontananza lo skyline dei forti retaggio dei tempi dell'impero portoghese. Oppure prendere una barca e in poco più di mezz'ora arrivare alle isole Daymaniyat. E' un arcipelago protetto dove nessun umano ha il diritto di insediarsi e dove si sbarca rispettando le padrone di casa: le tartarughe di mare. Il fondale è una trina di corallo, i pesci sembrano mettersi in posa davanti alle Gopro subacquee e la sabbia è trasformista: la spiaggia di qui diventa deserto poco lontano. Il vincolo di 91 metri della moschea non serve: qui decide la natura. Ritornando verso sera, mentre il canto ipnotico del muezzin riempie il cielo color porpora, viene da immaginare quando da qui salpavano i dhow carichi di spezie. E Sindbad il marinaio guardava lo stesso tramonto.

Da sapere
Raggiungere l'Oman è molto facile: la compagnia di bandiera infatti collega Milano con la capitale Muscat con un comodo volo diretto da Malpensa (www.omanair.com). Per entrare nel Paese è necessario il passaporto e il visto turistico (per massimo 14 giorni) viene rilasciato direttamente in aeroporto all'arrivo.
Il paese è politicamente stabile ed ha un tasso di criminalità tra i più bassi al mondo. Una nota sul clima: durante l'estate le temperature sono decisamente elevate e quindi moltissimi preferiscono visitare l'Oman tra ottobre e fine aprile. Chi voglia però fare immersioni preferisce quello tra aprile a dicembre.