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Quei divini calici: nel Chianti, tra antichi conventi e i vigneti dei mitici Supertuscan
Un affresco al fresco? Può sembrare un gioco di parole, un inganno da trompe-l’oeil e, invece, non serve pensare di fare un tuffo dentro ad un dipinto per provare a fuggire dall’afa di questi giorni. In Toscana, dove tutto è stato dipinto e magnificamente, già ammirare dipinti ed arte è un’esperienza refrigerante. Basta lasciare Firenze fuori rotta e spostarsi 35 km a sud per arrivare a Badia a Passignano, sulle colline che un tempo hanno fatto la fortuna dei monaci vallombrosani. Ora qui regna il Chianti Classico, grazie alla famiglia dei marchesi Antinori, che qui ha saputo coltivare un regno tanto terreno quanto divino. Anzi di…vino.
Qui il connubio fra terra e spirito, arte e natura fa capire che quel vecchio motto benedettino «ora et labora» tutto era fuorché un modo di dire. Si può pregare e lavorare gomito a gomito, corpo e spirito e cogliere ancora oggi, come mille anni fa, il senso di armonia e pace che danno le cose fatte per bene.
Badia a Passignano, frazione di Barberino di Tavarnelle o più poeticamente abbarbicato sulla via Romea senese, è un borgo di poche decine di anime che sembra già una poesia dipinta. Un’osteria come un tempo – peraltro stellata da quasi due decenni - accoglie tutti sotto al grande erbario medievale sfascicolato dove si catalogano piante ed erbe che crescono ancora, oggi come ieri, nell’orto in condivisione con i monaci che qui sono ritornati nel 1986. Di fronte si staglia quello che potrebbe sembrare un castello, ma a ben guardarlo è un’abbazia che si nasconde dietro a quei merli e quelle torri, un poco posticce, volute, a fine Ottocento, dalla famiglia dei Dzieduszycki, ultimi estrosi padroni polacchi, prima che quel che è di Dio facesse ritorno «a casa», all’ordine dei Vallombrosani. I monaci oggi lasciano invecchiare, non più in tini di cemento, ma in botti in rovere, il Sangiovese che poi «fiorirà» sulle tavole come Tignanello.
In cambio si sono ripresi ciò che Napoleone, sopprimendo gli ordini monastici, aveva loro sottratto, cacciandoli in malo modo dopo secoli di lavoro prezioso. Qui studiò Amerigo Vespucci e si dice che anche Galileo abbia forgiato qui le sue acute tesi come insegnante. I monaci del luogo sono vallombrosani e questo li rende fortemente imparentati con Parma. Uno dei tre fondatori dell’ordine, nel 1039, fu proprio il fiorentino, oggi santo, Bernardo degli Uberti, poi vescovo a Parma e sepolto in san Francesco del Prato. L’altro fondatore, Giovanni Gualberto, riposa, invece, qui e per ammirarne la tomba si passano in rassegna meraviglie che basterebbero a riempire un libro di storia.
Non ci credete? Citofonare Ghirlandaio per un posto alla sua spettacolare «Ultima cena« dipinta nel 1476. Adorna il refettorio ed incantò anche il Vasari con quel Giuda di spalle che ha un’aria contrita prima ancora di rendersi conto del ruolo che il destino gli ha affidato. Oggi qui ci sono cinque monaci: fra indiani e brasiliani, c’è anche don Matteo, arrivato qui sette anni fa da Spilimbergo. Volentieri accompagna i visitatori con un aneddoto, un racconto. Nel chiostro si cura un prodigio: al primo piano sta rinascendo il ciclo di affreschi dedicati a san Benedetto. A firmarli è stato un allievo di Domenico Ghirlandaio, Filippo di Antonio: centimetro dopo centimetro, la ripulitura dei 30 riquadri è affidata alla Sovrintendenza e sostenuta dal comitato United by art. Si spera di finire entro l’anno prossimo, servono sempre fondi, ma don Matteo è sicuro: «Dio vede e provvede». Il giardino esterno è un luogo magico: fra stilemi italiani e leziosità all’inglese, un piccolo labirinto di bosso fa perdere la strada anche a conigli e galline che passeggiano libere fino al limitar della cinta muraria. Oltre ci sono solo declivi di filari, ordinati, di un verde acceso. Questa è la zona di quei vini «supertuscan» che han fatto strabuzzare gli occhi e le papille agli stranieri. Che qui arrivano, con rispetto ed ammirazione, non solo per alzare i calici, ma anche lo sguardo verso le pitture. Dal centro di Firenze c’è un tour ad hoc, organizzato dal hotel St. Regis e pensato dall'esperta d'arte Olimpia Isidori che con «Art of frescoes», vuole contribuire alla delocalizzazione del turismo di massa, sensibilizzando i suoi ospiti verso una Toscana inedita, fatta di piccole grandi bellezze che la storia ha chiamato Rinascimento e che noi dovremmo riscoprire. Rallentando per rinascere al bello di una pittura a muro che ancora oggi parla di pace e bellezza.
Idee
Gli indirizzi
St. Regis Firenze
Sulle rive dell’Arno e con una vista che si estende su Ponte Vecchio e sulle colline della Toscana è un simbolo di eleganza fin dal XVIII secolo. Offre il percorso The Art of Frescoes in Florence, alla scoperta di 10 siti nella città metropolitana di Firenze fra cui questo monastero. Via dalla pazza folla e con guide ad hoc.
www.marriott.com/it
Osteria di Passignano
In uno dei borghi più suggestivi del Chianti un elegante ristorante fra mura antichissime. Cucina del territorio e grandi vini di tutto il mondo.
www.osteriadipassignano.com