Ilaria Notari
Essendo a Parma è inevitabile, tutte le attenzioni saranno per lui, il tenore. Si sa che questa città ha sempre riservato, nella storia del Regio, un particolare interesse per le voci tenorili avendo con esse rapporti molto passionali nel bene e nel male. Al tenore non si perdona nulla. Così sarà anche questa sera, quando si alzerà il sipario su «Il Trovatore», ultima opera nel cartellone del Festival Verdi. A vestire i panni di Manrico l’artista turco Murat Karahan. Dopo i successi dell’estate a Macerata e Verona proprio in Trovatore, si misurerà con il loggione di Parma.
E’ emozionato?
«Si, molto. Sono venuto a Parma in diverse occasioni ma è la prima volta che canto qui. Sono felice di essere in questa città così bella, dove la gente è cordiale e dove, credo, ci sia il miglior cibo d’Italia! E’ vero, ho avuto successo in Arena e allo Sferisterio ma cantare Verdi a Parma è una grande responsabilità. So che il pubblico è competente per questo ci metto il cuore e farò di tutto per cantare il meglio possibile».
Vigore e accento drammatico ma anche tanto belcanto. Manrico è uno dei personaggi più complessi per la corda tenorile. Si va da Ah si ben mio, all’energia della famosa cabaletta Di quella pira. La canterà nella giusta tonalità?
«La canterò nella sua tonalità originale come Verdi l’ha scritta, senza abbassarla. Manrico è uno dei ruoli apice per tenore, racchiude tutti i sentimenti, lirici ed eroici. Per le persone che ama è capace di ogni sacrificio. Amo ogni secondo del Trovatore, è un vero capolavoro. Mi piace l’aria Ah si ben mio dove Manrico canta tutto il suo amore ma senza perdere i suoi sentimenti eroici anche se naturalmente per me la parte più importante è La pira dove il ruolo raggiunge la sua vetta»
L’antagonista, il personaggio di primo acchito negativo nella vicenda è il Conte di Luna, scritto per baritono. Una parte che però a ben guardare ha una ricchezza musicale e psicologica notevole che richiedono un interprete di primo piano. In questa produzione, il ruolo è affidato all’artista romeno George Petean.
Tra temperamento drammatico e attitudine belcantistica sono diverse le richieste di Verdi per la parte del Conte che è anche piuttosto acuta. Come si trova in questa tessitura?
«In effetti la parte è acuta ma io non penso mai ai limiti della voce. Credo che ognuno debba cercare la libertà e l’elasticità della voce»
Secondo lei esiste la «voce verdiana»?
«Esiste. Deve avere calore e armonici, il timbro rotondo e una luce, un sole dentro. E’ quella che può sfumare e fare tutto. Del resto la scrittura verdiana deriva dal belcanto che significa il canto più bello possibile, il suono migliore possibile. Anche l’aria Il balen tanto più è bella quanto si riescono a seguire le indicazioni dinamiche di Verdi e si fanno i legati».
Lei studia con Giorgio Zancanaro che è stato un ottimo Conte. Che suggerimenti le ha dato per rendere al meglio il personaggio?
«Lavoriamo molto sulla parola. Mi dice sempre che la parola è metà canto! A parte questo, prima di chiudere vorrei dire che a Parma, dove ancora si respira e si vive di musica, a me sembra di essere in Paradiso!».
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