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Comunicato Stampa: “Come luce che germoglia”, il Vangelo in dialogo con Jovanotti tra arte e desiderio di verità

Comunicato Stampa: “Come luce che germoglia”, il Vangelo in dialogo con Jovanotti tra arte e desiderio di verità

23 Dicembre 2025, 17:18

La luce  arriva quando la giornata sembra già detta. In quell’istante la realtà cambia consistenza e diventa interrogativa . Il bisogno di senso non nasce sempre dai grandi dolori, nasce anche da una quiete che resta incompleta, da un benessere che non sa dare direzione. L’uomo , che si crede saturo di informazioni, riscopre di essere ancora capace di fame : fame di verità, fame di un nome, fame di una voce che risponda senza disprezzare le crepe. “Come luce che germoglia” di Don David Del Curto , pubblicato per il Gruppo Albatros Il Filo , entra proprio in questo spazio. Lo fa con un gesto audace: mette in dialogo la pagina biblica con il repertorio di Jovanotti , scegliendo la canzone come soglia emotiva di ogni capitolo, come innesco di memoria e attenzione. Ogni tappa porta un tema e un titolo musicale, fino a trasformare la lettura in un cammino scandito da tracce, figure, ritorni. Il libro funziona quando lo si legge come itinerario e come lente . Itinerario, perché attraversa episodi evangelici e volti della tradizione cristiana con un ordine che somiglia a una mappa interiore. Lente, perché filtra quelle scene attraverso arte, letteratura, cinema, cronaca del quotidiano, cultura popolare . Del Curto adotta una voce dialogica, spesso confidenziale, spesso indirizzata a un interlocutore vivo, quasi un compagno di strada. La pagina prende allora una forma intima: non il commento dall’alto, la camminata accanto. Il lettore entra in una conversazione che pretende partecipazione , pretende risposta, pretende che il desiderio smetta di nascondersi dietro l’ironia. Al centro c’è un assunto: Dio raggiunge l’uomo anche attraverso le note e le parole di un cantautore, perché la grazia si appoggia su ciò che già abita la vita comune . In questa prospettiva la canzone agisce da accordatura: una frase musicale apre uno spazio interno, poi arriva il brano evangelico, poi arriva la risonanza, cioè la domanda che resta appesa al petto come un peso buono. È una scelta che prende sul serio la cultura di massa e la tratta come un deposito di immagini e ferite condivise , quindi come materia pienamente umana, quindi pienamente abitabile dal sacro. La prima stazione è Maria Maddalena . L’episodio della donna sorpresa in adulterio si accende attorno al gesto delle pietre, al giudizio pronto a colpire. Del Curto lavora qui su uno dei nervi scoperti dell’uomo contemporaneo: la vergogna. La vergogna appare come luogo chiuso, come stanza senza finestre, come identità ridotta al proprio errore. La misericordia , invece, entra come gesto che restituisce persona alla persona, senza cancellare la realtà, senza chiedere amnesie morali. Lo sguardo di Gesù , che non condanna, diventa grammatica dell’umano: imparare a vedere l’altro senza trasformarlo in reato, imparare a vedere sé stessi senza confondere la colpa con l’essenza. Quando entra Paolo , la conversione perde qualsiasi patina concettuale e assume il peso dell’evento. Il viaggio verso Damasco viene raccontato con ritmo e scossa, con la luce che interrompe, con la voce che chiama per nome l’atto della persecuzione. La domanda “Chi sei?” diventa originaria perché chiede identità e relazione. Qui si sente un punto di forza del libro: la fede viene trattata come faccenda del presente, come questione che attraversa le scelte, non come ornamento di buoni sentimenti. La pagina biblica, accostata al linguaggio della canzone, diventa specchio di ogni mutamento che comincia quando una certezza si spezza e lascia entrare un’aria nuova. Pietro porta un’altra lezione, più ruvida, più corporale: la fragilità . La fragilità qui si vede addosso alle promesse spezzate, alla paura, alla vergogna che torna. Del Curto sceglie una croce irregolare, la crocifissione capovolta raccontata anche attraverso Caravaggio, e trasforma quell’immagine in simbolo di rovesciamento: l’uomo con la terra sopra la testa e i piedi nel cielo, esposto, messo sottosopra dall’amore e dalla verità. Ne esce un Pietro credibile, vicino: la sua storia diventa un manuale di ritorno e di fedeltà come pratica quotidiana. Il cammino prosegue con capitoli che hanno il sapore della narrazione: “La sposa e il filo d’oro” evoca la trama come legame, “San Giuseppe contro Mastrociliegia” convoca la tradizione delle fiabe dentro una domanda biblica, Giacomo e Giovanni diventano “la voce del mare” e la fede assume la cadenza di un elemento che chiama e risponde. In questa capacità di intitolare le tappe con oggetti, immagini, contrasti simbolici, si sente la mano del visionario : l’autore vuole far vedere, non soltanto spiegare.  Il capitolo su Francesco è un nodo luminoso dell’opera, perché prende sul serio lo sguardo come luogo teologico. Il ponte tra Frate Leone e un altro Leone, Sergio Leone , nasce da una formula che diventa lezione: “Give me a Leone”, dammi gli occhi, dammi il primo piano. In questa sezione lo sguardo diventa grammatica della fede: vedere il creato come fraternità , vedere la vita come responsabilità, vedere l’altro come fratello prima ancora che come ruolo. Il cinema entra così come archivio di posture umane, di silenzi, di attese, di ferite che parlano. La cultura popolare non viene trattata come spezia, viene trattata come linguaggio che sa custodire l’umano e quindi può custodire anche una domanda di Dio. E poi c’è Maria , con un titolo che suona come dichiarazione poetica: “Una canzone non basta per la più bella” . L’annunciazione viene riletta con attenzione al turbamento e al corpo, al “che senso avesse” di un saluto che cambia la storia. L’autore apre questo capitolo con una costellazione di brani chiamati a sostegno, come se nessun registro potesse reggere da solo la densità dell’umano. Qui la maternità diventa esperienza di fiducia e tremore, forza che accoglie e nello stesso tempo si espone: una spiritualità concreta, fatta di carne e di ascolto. La riflessione sulla Chiesa assume la forma di una cronaca spirituale sul ruolo della comunità e sul senso della libertà, con una domanda già nel titolo musicale: “Vi-va la libertà?” . La Chiesa appare come luogo di volti e di legami, laboratorio di fiducia, casa capace di proteggere senza addomesticare. La libertà viene trattata come bene vivo, come energia che chiede cura, come scelta che chiede accompagnamento. Anche qui il libro parla al presente: riconosce la fatica di credere, riconosce la fatica di appartenere, riconosce la fatica di restare fedeli a una verità che chiede pratiche e non slogan. L’ultima impressione riguarda il ritmo . Del Curto alterna racconto, citazione evangelica, invocazione, digressione culturale, e costruisce un tono che ha qualcosa della preghiera e qualcosa dell'arte. La sua scrittura procede per ritorni, per immagini che insistono: la luce, lo sguardo, il desiderio, la voce. Nel finale, “Nuova era” si trasforma in un set cinematografico, con l’ordine del silenzio, con il motore che parte, con l’azione che comincia. È una chiusura che lascia un’eco precisa: la fede, qui, assomiglia a un gesto che si gira adesso, nella materia della giornata, con i piedi a terra e gli occhi capaci di primo piano. La luce non fa clamore quando germoglia. Si posa sulle cose e le rende leggibili. Poi chiede al lettore di fare altrettanto: tornare nel mondo e guardarlo come se fosse appena stato creato.

La responsabilità editoriale e i contenuti di cui al presente comunicato stampa sono a cura di NEW LIFE BOOK

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