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Investigatori in marcia tra delitti e scene pulp

Investigatori in marcia tra delitti e scene pulp

di Chicco Corini

22 Novembre 2018, 06:14

PIAZZA GARIBALDI - Prima linciato poi decapitato:  la fine di Anviti
Anche la tragica fine del colonnello Luigi Anviti è abbastanza conosciuta. Ma l’aver seguito il narratore Bissi fino a Piazza Garibaldi ha permesso agli «investigatori» parmigiani di immaginarsi le scene di quella «macelleria messicana» che si verificò il 5 ottobre 1859. Il colonnello Anviti era un ufficiale di fiducia di Carlo III di Borbone (l’odiato duca assassinato nel 1854 in strada Santa Lucia, ora via Cavour) che lo scelse perché garantisse l’ordine pubblico con un vero pugno di ferro. E la sua faccia, come del resto quella del Duca, era ben conosciuta e detestata dal popolo parmigiano. Sul finire del Ducato, Anviti sparì per qualche tempo, forse nella speranza che i rigurgiti antiborbonici si calmassero. Si rifugiò in Romagna. Poi tentò il ritorno a Piacenza dove possedeva denari e palazzi. Ma commise l’imprudenza di viaggiare sul cosiddetto «treno rosso», il nuovo convoglio a vapore da poco inaugurato sulla linea Bologna-Piacenza. Il passaggio di questo treno, essendo allora una novità, era divenuto quasi un’attrazione fra i parmigiani che accorrevano a vederlo. Quando il treno fece sosta nella stazione di Parma, Anviti fu subito riconosciuto, tirato giù a forza dalla carrozza e malmenato. Intervennero i carabinieri che posero fine al pestaggio e lo condussero nella caserma che si trovava nei pressi dell’attuale hotel Stendhal. Qui, si dice, gli fu offerta la possibilità di suicidarsi, ma non si sa se rifiutò o non fece proprio in tempo, perché la folla inferocita riuscì a irrompere. Fu letteralmente linciato e trascinato in piazza Garibaldi fino al Caffè degli Svizzeri, che era solito frequentare, dove fu decapitato. Attaccato a un cavallo, il corpo fu trascinato per le vie della città.
Così descrisse la truculenza del fatto un giornalista di Civiltà Cattolica: «Là giunse l’infelice, che non era per anco del tutto spento, fu collocato sopra d’un tavolo, a colpi di spada gli fu tagliata la testa». E ancora: «Alla testa insanguinata si è voluto far trangugiare una tazza di caffè, le si è posto un sigaro in bocca, ed in questo modo fu portata sulla colonna che sorge in uno dei quadrati della nostra piazza Grande».
Ma, scene pulp a parte, la fine dell’Anviti non potrebbe essere stata decisa dai nuovi poteri? Certamente le forze dell’ordine non si opposero al massacro.
E gli «investigatori» di Bissi si allontanano da piazza Garibaldi con questi sospetti che si aggiungono a quelli che da sempre hanno avvolto l’omicidio di Carlo III: ma è stato davvero il sellaio mazziniano Antonio Carra ad ucciderlo?

 

 

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